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Carola. Parlando, capita di allontanarsi dall'argomento di cui si discute, fino a perdersi nelle elucubrazioni più strane, poi all'improvviso succede che qualcuno chieda “ma come ci siamo arrivati qui? Che cosa stavamo dicendo?” Mi pare sia il nostro caso. Le immagini della Sea Watch ci sono penetrate così a fondo nella retina e le chiacchiere televisive si sono spinte tanto avanti, tanto oltre verrebbe da dire, che in molti hanno perso il senso della vicenda in corso.
Carola Rackete è diventata protagonista di una storia della quale si è smarrito il bandolo della matassa, fino a rischiare davvero di trasformare ciò che di più prezioso esiste al mondo, 42 esseri umani, in merce di scambio sui tavoli della politica estera, della propaganda di partito, del confronto tra governo, parlamento e magistratura, tutti ambiti dalle acque fin troppo agitate. Anche il giornalismo estivo, avido di notizie, ha fatto la sua parte. Può essere opportuno tornare al dunque, al dato inquietante che sottostà a quanto accaduto e a ciò che si prepara ad accadere. In troppi, parecchi dei quali appartengono al governo o ricoprono alte cariche istituzionali della Repubblica, sostengono senza ritegno che usare qualunque mezzo per impedire lo sbarco di 42 naufraghi recuperati in mare costituisse un modo corretto per far valere la ragion di Stato e difendono questa tesi accampando questioni di principio o l'esigenza di dare un esempio, lo scopo della dissuasione o la necessitò di trovare un modo, a qualunque costo, per innescare una trattativa a noi favorevole in tema di immigrazione con il resto d'Europa.
Tralasciando i tecnicismi, ossia senza perdersi nelle valutazioni di convenienza spiccia, e liberando il campo dai trionfalismi tardivi quali i cloni comici dell' “Affondate la Bismarck!” di churchilliana memoria - forse bisognerebbe ricordare alla signora ammiraglia che all'epoca di quei fatti l'Inghilterra era in guerra con la Germania e non era una questione di brexit – si dovrebbe parlare di civiltà giuridica. Quella di cui noi italiani pretendiamo a volte di essere campioni per ragioni cromosomatiche, di discendenza romana. Una delle conquiste del diritto moderno è stata l'individuare con relativa certezza la personalità giuridica singola di ogni uomo. Di riconoscere a ciascuno diritti propri e inalienabili, di interrompere la catena delle responsabilità di sangue e di negare la possibilità delle azioni esemplari. Questo significa che ogni uomo e ogni donna ha diritto, sempre, di essere giudicato, perseguito ed eventualmente punito per ciò che ha fatto, lui, personalmente di persona, come direbbe Catarella, non altri. La civiltà giuridica moderna proibisce di causare sofferenze a esseri umani incolpevoli in vista di pretesi guadagni collettivi: quella storia che piaceva a Robespierre e che per un po' di tempo andò di moda anche in Russia, di tagliare la testa agli aristocratici, o di fucilare i kulaki, per rendere migliore il mondo. Il generale Custer fu accusato di sostenere che l'unico indiano buono fosse quello morto. Di questo passo si può andare lontano. Come si può fare anche prendendo troppo alla lettera i consigli dati in tema di esempi efficaci da Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto come Dracula l'Impalatore, che tra l'altro scriveva a Mattia Corvino: “Abbiamo ucciso 23.884 turchi senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o quelli le cui teste sono state tagliate dai nostri ufficiali… Così, a vostra altezza, deve essere noto che io ho rotto la pace con il Sultano”.
La nostra società ha molti difetti, ma anche qualche pregio. Viviamo in un contesto di individualismo a volte esasperato, però lo accompagniamo con un grande rispetto per i diritti personali, frutto di una storia lunga, faticosa e contraddittoria. La cosa più insensata che potremmo fare di fronte ai giganteschi fenomeni economici e demografici che abbiamo di fronte sarebbe rinnegare noi stessi, cancellare le nostre conquiste, distruggere un umanesimo che possediamo e che rappresenta una parte notevole della nostra identità.
Gli slogan che ci vengono proposti, clonati sulla formula trumpiana America first e rappresentati da “Prima l'Italia e “Prima gli Italiani” non hanno un senso comune se vengono usati per cancellare proprio i tratti identitari propri della nostra civiltà che invece si assicura di voler difendere. Non vorremmo ritrovarci in un'Italia priva di immigrati che ha rinnegato per intero il faticoso cammino che la ha portata a divenire un Paese giuridicamente civile.