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Con tanto ritardo rispetto alle aspettative da cogliermi di sorpresa, ve lo giuro, i politici che resistono, reagiscono e quant’altro alle iniziative giudiziarie che li investono, di solito mentre sono più esposti sul loro terreno professionale, diciamo così, sono stati paragonati addirittura a quei terroristi che contestavano allo Stato borghese, capitalistico e altre scemenze simili il diritto di processarli. E qualcuno ammazzava anche per strada che si ostinava a fare il suo mestiere. O minacciava di morte i giudici popolari, anch’essi borghesi, capitalisti e scemenze simili, selezionati con incolpevole sorteggio.
Sentite che cosa ha appena sostenuto sulla Stampa non un Camillo Davigo particolarmente polemico in qualcuno dei salotti televisivi più o meno di casa ma un magistrato molto più accorto di lui nell’uso delle parole, iperboli e simili come Gian Carlo Caselli: «In Italia dai primi anni Novanta del secolo scorso si riscontra una pessima anomalia: l’ostilità verso la giurisdizione, il rifiuto del processo e la sua gestione come momento di scontro da parte di inquisiti “celebri”; una sorta di impropria edizione del cosiddetto processo di “rottura”, utilizzato però da uomini dello Stato, anziché, come negli anni di piombo, da sue antitesi».
Con quel riferimento esplicito agli “anni di piombo” non credo di avere esagerato nel vedere tra le righe e le parole di Caselli una certa affinità, ripeto, fra i terroristi che rifiutavano i processi e i politici che dagli anni Novanta in poi - o gli inquisiti “celebri”, come li chiama l’ex capo di celebri Procure italiane - contestano i magistrati che si occupano di loro e le iniziative che assumono nell’esercizio delle proprie funzioni. E mi perdonerà il buon Caselli, col quale ho avuto già altre occasioni di polemiche, se mi permetto di dissentire ancora una volta da lui. Pur volendolo definire quanto meno paradossale, questo riferimento agli anni di piombo e ai terroristi mi sembra francamente eccessivo, a dir poco. Qui si spara solo - se si spara- con parole e carte bollate, come ha appena fatto Matteo Renzi contestando i magistrati che ne hanno chiesto il rinvio a giudizio, insieme col cosiddetto “cerchio magico” degli anni altrettanto magici della sua fulminante carriera politica, per finanziamento illegale dei partiti e tutti gli altri reati che di solito - dai tempi lontani di “Mani pulite”- si porta appresso una simile imputazione.
Sono il primo a riconoscere, per carità, che Renzi fa poco, anzi assai poco, per risultare simpatico, persino a uno come me che votò con molta convinzione nel 2016 la “sua” riforma costituzionale, anche dopo che lui l’aveva imprudentemente personalizzata a tal punto da farne un plebiscito su di lui perdendolo. Ma vederlo direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente, a ragione o a torto, come uno di quelli che dietro le sbarre gridavano contro la Corte di turno che doveva giudicarli, mi fa mettere le mani fra i capelli che fortunatamente mi sono rimasti.