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Illustri Deputate e Deputati, dalle cronache parlamentari apprendiamo che il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge in tema di legittima difesa senza introdurre alcuna modifica, e che anche il via libera da parte della Camera sarebbe ugualmente scontato e il dibattito in Aula una mera formalità.
Noi nutriamo un rispetto autentico verso le istituzioni democratiche, sicché rifiutiamo l’idea stessa di dover considerare la discussione parlamentare una inutile ritualità.
L’Unione delle Camere Penali ha già interloquito – audita dalla Commissione Giustizia del Senato poche settimane fa – sugli aspetti più strettamente tecnici del testo, sviluppando osservazioni ( non esclusivamente critiche, aggiungo: mi riferisco all’intervento sull’eccesso colposo, ed a quello delle spese processuali dell’indagato poi prosciolto) che restano a Vostra disposizione, e che auspico possano utilmente contribuire ad un dibattito parlamentare serio e costruttivo.
Consentitemi allora di richiamare la Vostra attenzione non più sul dettaglio tecnico, ma su profili più generali di razionalità di questo intervento normati- vo.
Voi state intervenendo sulla definizione normativa di una causa di giustificazione, la cui applicazione entra in gioco in presenza di una condotta che riveste tutti i connotati oggettivi di una condotta criminosa. Commetto un omicidio, ma in condizioni e per ragioni tali da esserne giustificato e dunque non punito.
Ora, l’argomento politico che ha accompagnato questa proposta di riforma è sin dall’inizio, e nella stessa relazione che accompagna il testo, molto esplicito: si vuole impedire che la vittima – nell’esempio più classico – di una tentata rapina nella propria abitazione, che abbia reagito sparando ed uccidendo il rapinatore, debba subire altresì l’onta di essere, anche solo per una fase iniziale ed ipotetica, indagata per il reato di omicidio.
Si tratta – ne converrete – di una argomentazione schiettamente emotiva, perché mira a proteggere quella vittima non da una conseguenza afflittiva o addirittura punitiva, ma ben prima dal semplice rischio – considerato moralmente iniquo – di poter essere fatto oggetto di una mera ipotesi di responsabilità omicidiaria.
Ebbene, sappiate che – molto semplicemente – non c’è modo alcuno di ottenere per previsione normativa una zona franca che faccia salvo il cittadino dalla valutazione giurisdizionale di un proprio comportamento che abbia i connotati oggettivi di una condotta criminosa. Non è possibile – come dire – concettualmente. Una causa di giustificazione si applica al caso concreto. E’ ( appunto!) la giustificazione di un fatto – la soppressione di una vita umana, per stare nell’esempio – che è in sé illecito.
Una volta accaduto il fatto drammatico, chi e come dovrebbe secondo Voi stabilire se, per esempio, l’aggressore sia davvero entrato contro la volontà del padrone di casa? Se la effrazione non fosse preesistente al fatto? Se le intenzioni del presunto aggressore non siano state clamorosamente fraintese? E potremmo continuare a fare esempi all’infinito.
Non c’è avverbio, locuzione, formulazione di una norma o di una fattispecie astratta che possa sottrarci alla valutazione di un P. M. prima e di un Giudice dopo in ordine quantomeno alla materiale ricostruzione della condotta ( astrattamente illecita) che affermiamo di aver tenuto o che attribuiamo ad altri nei nostri confronti. Per fare la qual cosa, un P. M. dovrà inevitabilmente iscrivere il materiale autore dell’omicidio nel registro degli indagati.
Dunque, Voi state discutendo di un disegno di legge irrazionale nelle premesse, irrealizzabile nelle sue dichiarate finalità, ingannevole nei confronti delle “aspettative di giustizia” della pubblica opinione alla quale intendete rivolgerVi.
Sia ben chiaro: i penalisti italiani, come abbiamo con chiarezza argomentato in sede d’audizione parlamentare, sono fieramente contrari a questo disegno di legge per ragioni di principio ben più radicali. Guardiamo con grande preoccupazione, ed anzi con profonda indignazione, al crescente costume di dare in pasto ad una opinione pubblica eccitata ed impaurita ad arte norme penali “manifesto”, attente solo al facile consenso popolare. Ma possiamo almeno chiedere alle Deputate e ai Deputati di riflettere sulla razionalità di questo intervento normativo? Sulle concrete aspettative di efficacia che è lecito attendersi dalla sua approvazione? Sul dovere, davvero elementare e direi fondativo del nostro patto sociale, di non ingannare cinicamente la pubblica opinione?
Vi ringrazio per l’attenzione che avrete voluto prestare a queste brevi riflessioni, e formulo i più sinceri auguri di buon lavoro.
Con viva cordialità
GIAN DOMENICO CAIAZZA
PRESIDENTE DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE