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Dopo il manifesto delle attrici e delle registe italiane a sostegno del metoo, è intervenuta duramente Asia Argento. Secondo la protagonista italiana delle denunce a Weinstein, sarebbe «troppo tardivo» e «troppo poco» perché non fa i nomi dei molestatori. Ma questa volta sbaglia lei. Cara Asia Argento, giusto denunciare ma sul manifesto delle registe sbagli
«Finalmente è arrivata la letterina di Babbo Natale delle donne del cinema italiano. Contestano l’intero sistema ma si guardano dal fare nomi». E’ questo il tweet con cui Asia Argento ha accolto polemicamente il manifesto di registe e attrici intervenute sul me- too. La presa di parola del gruppo di 120 sarebbe arrivato «troppo tardi» e direbbe «troppo poco».
La «rabbia» di Asia Argento è dettata dalla necessità del manifesto “Dissenso comune” ( così si chiama) di prendere le distanze dalla gogna, di non fare il nome di un singolo, ma di denunciare l’intero sistema di potere. Ma questo per l’attrice, che in Italia ha denunciato Weinstein, non basta, non serve, è un modo per sottovalutare il problema.
Ma è davvero così? Serve fare nomi e cognomi in un manifesto per dare valore alla lotta contro le molestie? Sono convinta di no. Il rischio, del resto sottolineato dalle stesse donne dello spettacolo, è che archiviato il singolo caso, messo alla gogna quel regista o quel produttore, tutto torni come prima. E’ la logica del capro espiatorio che non ha mai risolto i problemi alla radice, ma ha messo in scena una punizione che lasciasse tutto intatto.
Il problema, presente fin dall’inizio nella campagna del me- too, è quello di usare strumenti sbagliati per combattere una giusta battaglia. La battaglia è quella contro le molestie soprattutto in ambito lavorativo; gli strumenti sono quelli del giustizialismo, del processo mediatico, del voyeurismo.
Margater Atwood, una delle più importanti autrici contemporanee, ha scritto un articolo molto duro contro questo meccanismo. «Il movimento me- too - si legge - è il sintomo di un sistema legale che sta andando a pezzi. Troppo spesso, le donne e altri denuncianti di abusi sessuali non potevano ottenere un’udienza imparziale attraverso le istituzioni - comprese le strutture aziendali - così hanno usato un nuovo strumento: internet. E le stelle sono cadute dal cielo. Ma se il sistema giudiziario viene aggirato cosa prenderà il suo posto? Chi saranno i nuovi mediatori del potere? Di sicuro non le cattive femministe come me».
Atwood, prima di questo articolo, era stata fortemente criticata per aver difeso un professore dell’Università della Columbia Britannica accusato di stupro e poi assolto. Secondo l’autrice del romanzo distopico Il racconto dell’ancella, senza il sistema di regole si rischia di dare vita alla caccia alle streghe, ai roghi, al far west. E’ una degenerazione che in Italia vediamo in molti settori, dalla cronaca nera alla politica: ora tocca anche una questione così importante come la violenza sulle donne. Può un’istanza più che giusta usare metodi sbagliati? E può una giusta istanza, che usa metodi sbagliati, costruire le basi per aumentare il male che vuole sconfiggere? Sono domande che non possiamo non porci anche a costo, come dice Atwood, di apparire traditori o traditrici.
Da Processo per stupro ( il documentario del 1979) dove la vittima di violenza sessuale diventa l’accusata, si sono costruiti molti cambiamenti, dentro e fuori le aule di giustizia. Tanto resta ancora da fare, per trasformare la società e far sì che i rapporti uomo- donna non siano fondati sul potere e sull’abuso.
Ma questa battaglia non può sacrificare lo Stato di diritto. E non tanto e solo per una questione di principio, ma perché come si chiede Atwood, «se il sistema giudiziario viene aggirato cosa prenderà il suo posto?».
Il manifesto delle registe va in questa direzione. Pone in maniera radicale la critica al sistema e chiede una trasformazione dei rapporti nel mondo del lavoro, ma non cade nel tranello dei processi sommari.
«La molestia sessuale - scrivono - è fenomeno trasversale. È sistema appunto. È parte di un assetto sotto gli occhi di tutti, quello che contempla l’assoluta maggioranza maschile nei luoghi di potere, la differenza di compenso a parità di incarico, la sessualizzazione costante e permanente degli spazi lavorativi».
Per Asia Argento senza nomi questa analisi è acqua fresca. Ma questa volta, forse, sbaglia lei.