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Su Rai1 sta per arrivare una fiction totalmente diversa da ciò che abbiamo visto negli ultimi anni: Ognuno è perfetto, una commedia avventurosa con protagonista un ragazzo di 24 anni, Rick, portatore di sindrome di down, alla scoperta dell’amore e del valore dell’amicizia e del lavoro per realizzarsi. Accanto ai neo- attori che compongono il reparto di packaging di una cioccolateria torinese, varie colonne portanti del cinema italiano, a partire da Piera Degli Esposti, presenza silente nella fiction e narratrice, passando per Nicole Grimaudo ed i co- protagonisti Cristiana Capotondi e Edoardo Leo. In onda per un totale di tre prime serate, lunedì 16, martedì 17 e venerdì 23,
Ognuno è perfetto punta a dare valore alla diversità, darle il significato di ricchezza e guardarla sotto la luce del racconto di formazione, di genitori che ricominciano daccapo dopo essersi dedicati anima e corpo ai figli e ragazzi alla disperata ricerca del proprio posto nella società, per emanciparsi definitivamente. A Cristiana Capotondi il ruolo di Miriam, una donna che ha trasformato il lutto per la perdita della figlia down 12enne nell’impegno giornaliero per donare a ragazzi come sua figlia una possibilità di futuro. L’attrice eclettica racconta il perché della sua partecipazione alla serie e le possibilità che offriva l’interpretare una donna che non si è arresa.
Perché ha detto sì a questo progetto e questo ruolo?
Perché era un’opportunità particolare soprattutto dal punto di vista personale più che professionale. Ero curiosa di capire come la magia del cinema avrebbe reso possibile questo progetto rispetto ai tempi della sindrome che sono dei tempi diversi. Mi interessava approfondire fino a che punto il cinema riesce a creare questa bolla magica, cosa che viviamo costantemente facendo questo mestiere ed in effetti non mi ha delusa, la magia è avvenuta. La seconda ragione è che ero fondamentalmente attratta da un personaggio con una risposta così solare ad un dolore molto molto grande: una donna determinata, amante della vita che decide di investire tutto quello che fa in maniera totale e che ha una femminilità più matura rispetto anche ai personaggi che ho interpretato in passato.
Miriam, il suo personaggio, in qualche modo riesce a ricanalizzare il dolore per la morte della figlia in energia?
Sì, è un’energia che viene rimessa in circolo perché comunque le mamme non smettono mai di essere mamme. Questa è una mamma che perde la figlia ma non smette mai di essere mamma perchè quell’amore materno che caratterizza il modo di amare di molte donne, siano esse madri o no, alla fine si condensa con il desiderio di entrare ancora in contatto con questo mondo, quello della sindrome di Down, che le fa venir voglia di costruire questo reparto di packaging.
Con questa fiction e in questo momento storico è sempre più chiaro finalmente che diversità è ricchezza. Che ne pensa?
Credo che questo sia un discorso totalmente culturale ma di educazione dei bambini. Oggi abbiamo degli asili con bambini di tutte le nazionalità e colori, peruviani, filippini, cinesi, e questo è positivo perché vuol dire che ti abitui a livello estetico a concepire qualcosa che fisicamente riconosci leggermente diverso da te per colore di pelle, per tratti somatici oppure appunto per disabilità magari fisiche o cognitive ma, contemporaneamente vivendolo, sapendo e capendo che quello davanti a te è un essere umano. Il gioco della proiezione è possibile con un altro essere umano seppur diverso da te perché è un tuo amico, condividi delle cose, partecipi emotivamente della sua esistenza e credo sia arricchente. Arricchisce comprendere che la natura è in tutte le cose, Dio è presente all’interno di tutte le cose come credo sia arricchente avere a che fare con la natura, stare all’aria aperta, avere a che fare con gli animali e quindi anche con gli esseri umani. In parte siamo tutti diversi e in parte siamo tutti uguali.
Ognuno è perfetto sottolinea anche l’importanza dell’emancipazione per questi ragazzi a cui si arriva solo attraverso il lavoro.
Sì qui l’emancipazione è legata proprio a ciò che questi ragazzi vorrebbero: essere utili alla società. La cosa che dispiace di più è che capisci che si sentono ai box, sono fermi, non partecipano alla vita sociale e sono una preoccupazione per i genitori perché questi ragazzi si devono immaginare un giorno senza genitori e questi genitori devono immaginarli con un futuro. Da questo punto di vista, il lavoro e l’esercizio che ti obbliga a fare in termini di presenza a te spesso e di organizzazione, è una cosa molto importante.
La necessità di sentirci utili e di lavorare è qualcosa che appartiene a tutti noi, concorda?
Sono convinta che il fare sia fondamentale, è ciò che ti fa diventare qualcosa di più, ti fa cambiare, crescere.
Come si sta orientando tra cinema e tv? Ha cambiato nel corso degli anni il suo modo di scegliere progetti?
Credo che oggi siamo sempre di più interessati al contenuto non tanto al contenitore. La storia, il racconto almeno per quanto mi riguarda, come quello che stai interpretando, ti restituisce qualcosa, ti aiuta come persona perché alla fine noi abbiamo l’opportunità di cambiare lavoro pur facendo sempre lo stesso e questo varia con il personaggio. Interpretare un personaggio può renderti migliore aggiungendo qualcosa in più a ciò che sei perché ha delle qualità, delle sfaccettature che tu vorresti avere e non hai, per abitudine e per maturità ed è interessante perché li acquisisci per te e poi tutti personaggi interpretati sono sempre strumento di crescita. Poi, nel caso della televisione, magari il mezzo televisivo nella maggior parte dei casi ha un bacino di pubblico maggiore mentre nel caso del cinema è questa magia della sala ma ribadisco che veramente oggi contano più la storia e i personaggi che interpretiamo.