Secondo Dario Parrini, senatore dem e vicepresidente della commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama, il Pd dopo le parole di Prodi e Franceschini dovrebbe chiedersi «se sia più producente un modello coalizionale rigido stile 2006, in cui si punta a decidere ogni cosa prima del voto, oppure un modello coalizionale più flessibile», e puntare sul «ritorno delle preferenze».

Senatore Parrini, domani Piantedosi riferisce in Senato sul caso Almasri: che idea si è fatto?

È inquietante la liberazione opaca di un criminale ricercato dalla Cpi dell’Aia, per di più con rimpatrio tramite volo di Stato. Non meno grave è che il governo abbia deciso di difendere il proprio operato in modo cavilloso e maldestro. Siamo alle solite: Meloni, Nordio e Piantedosi non la raccontano giusta. Come su tante altre cose.

Ad esempio?

Dovevano togliere le accise sui carburanti e le hanno aumentate. Gridavano di voler difendere gli stipendi dall’inflazione e si scopre che con le norme da loro volute le buste paghe nette di chi guadagna meno di 35 mila euro subiranno un taglio. Fanno scendere ai minimi storici la percentuale di pil dedicata alla sanità pubblica e vogliono far credere l’opposto. Affermano che l’economia va alla grande mentre la produzione industriale cala senza sosta da due anni.

Nel frattempo però anche nel Pd c’è molto fermento, con Prodi che ha risposto a Franceschini il quale proponeva di andare divisi per colpire uniti: è possibile secondo lei staccarsi dall’alleanza con il M5S?

A me pare che nessuno nel Pd metta in dubbio che per battere il centrodestra alle prossime elezioni politiche serva un’intesa tra tutti i partiti del centrosinistra, e dico tutti, a partire dai collegi uniminali. Non c’è chi vuole l’unione e chi vuole la divisione. Piuttosto si riflette giustamente su quale sia il modo di stare insieme più efficace rispetto allo scopo di evitare di fare megaregali di seggi alla destra come nel 2022. Da questo punto di vista dobbiamo chiederci se sia più producente un modello coalizionale rigido stile 2006, in cui si punta a decidere ogni cosa prima del voto, oppure un modello coalizionale più flessibile, in base al quale per esempio si stabilisce il principio che si esprime come premier, dopo le elezioni, il leader del partito più votato della coalizione vincente.

La stessa cosa che propone Giuseppe Conte, in sostanza.

A volte chi troppo vuole nulla stringe. È reale il rischio di ritrovarsi con uno schieramento di dimensioni insufficienti, e quindi sconfitto in partenza nella grande maggioranza dei collegi uninominali, proprio perché ci si ostina a perseguire un tipo di vincolo coalizionale troppo stringente e non realistico. Sarebbe un caso classico di eterogenesi dei fini. Inoltre va considerato appieno il ruolo trascinante e dominante che ha nel Rosatellum il voto di lista. In un quadro del genere il Pd avrebbe un motivo in più per far valere fino in fondo le proprie proposte su lavoro, impresa, sicurezza e sanità e la propria identità di partito plurale e ad ampia rappresentatività sociale.

A proposito di proposte, la separazione delle carriere è in prima commissione al Senato, di cui lei è vicepresidente: quali critiche pone chi, anche nel Pd, in passato si dichiarò a favore ma oggi contesta la riforma del ministro Nordio?

La separazione non cura i difetti della giustizia italiana e non ne accresce l’efficienza. Rischia di portare o alla creazione di una casta di pm superpoliziotti, con pericoli oggettivi per le garanzie individuali, o a una sottomissione della magistratura inquirente all'esecutivo. La verità è che questa riforma per la destra è solo un modo per colpire il potere giudiziario e la sua indipendenza.

Voi attaccate il governo anche su un’altra riforma simbolo di questa maggioranza, cioè ilpremierato. Negli ultimi giorni il governo sembra concentrarsi su una nuova legge elettorale: si arriverà a cambiarla?

Sulla legge elettorale non accetteremo mai idee bislacche come i premi senza soglia che puntano a aggirare le sentenze della Corte Costituzionale. E poi è fondamentale selezionare gli eletti con le preferenze, già previste per eleggere eurodeputati e consiglieri comunali e regionali. Basta nominati.

Quindi niente liste bloccate.

Per colpa delle liste bloccate, e poi di un mix tra liste bloccate e collegi uninominali mediamente così enormi che il candidato non sposta niente, sono più di vent’anni che i cittadini di fatto non scelgono i parlamentari. Ha ragione da vendere Bonaccini quando dice che il Pd deve dire subito con grande forza e chiarezza che si batte per il ritorno delle preferenze e che se non torneranno le preferenze il partito selezionerà i candidati al Parlamento con le primarie aperte. Essere democratici per davvero significa anche far contare di più i cittadini nella definizione delle rappresentanze istituzionali.

Oggi è previsto l’arrivo in Albania una nuova nave carica di migranti: il governo riuscirà a vincere questa battaglia o continuerà il muro contro muro?

Il governo su questa vicenda ha perso ogni credibilità. E nessuna propaganda gli permetterà di recuperarla.