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«Indignazione sotto il profilo politico» di fronte ai suicidi in carcere «se si vede che c'è chi ritiene di trovarsi di fronte a una malattia ineliminabile, mentre si tratta di una vergogna della quale non solo noi, come cittadini e avvocati, dovremmo sentirci responsabili, ma soprattutto le istituzioni e chi governa il Paese». È la denuncia del presidente dei penalisti italiani, Francesco Petrelli, nel suo intervento di chiusura sabato dell'inaugurazione dell'anno giudiziario dell’Ucpi, che ha ricordato una a una le 16 persone che si sono tolte la vita in carcere dall'inizio dell'anno, citando i nomi e le età, così come quello del giovane migrante che si è tolto suicidato nel Cpr di Ponte Galeria.
Un duro attacco, dunque, al ministro Nordio che qualche settimana fa, nella sua relazione al Parlamento, aveva detto che i suicidi dietro le sbarre sono inevitabili come le guerre e le malattie. Ma la scelta di iniziare il suo intervento parlando degli ultimi parrebbe anche una replica a chi, come da noi intercettato nei giorni dell’evento, mostrava una certa insoddisfazione dell’operato della giunta Ucpi, «forse troppo indifferente verso le categorie più deboli e silente dinanzi al fatto che il governo e la maggioranza, con le loro iniziative legislative, si stanno solo preoccupando di proteggere i colletti bianchi, come denunciato anche da certa magistratura». «Si prova indignazione non solo di fronte a questo atteggiamento nei confronti del fenomeno – ha proseguito Petrelli parlando dei suicidi - ma anche e soprattutto di fronte alla risposta politica che abbiamo sentito dare dal ministro quando ci ha detto “sappiamo bene qual è situazione ma non l'abbiamo determinata noi, perché essa è frutto di responsabilità che si possono fare risalire nel tempo”. È come se un pompiere chiamato a intervenire davanti ad un incendio che divampa dicesse “non l'ho appiccato io”. Questa è la reazione politica di chi noi chiamiamo a rispondere di una responsabilità rispetto alla quale si devono assumere atti immediati ed efficaci». Il presidente dell’Ucpi ha poi sottolineato un «paradosso» ossia che «è incomprensibile per quale ragione, mentre constatiamo una progressiva diminuzione del numero dei reati, e soprattutto una riduzione dei reati più gravi, al contrario la popolazione carceraria è andata crescendo ininterrottamente».
Petrelli poi ha stigmatizzato il ddl sicurezza che a breve sarà in Parlamento e ha anche replicato al sottosegretario alla Giustizia del Carroccio Andrea Ostellari - «sono assolutamente consapevole che anche se qualcuno rumoreggia sia necessario da parte nostra sottolineare anche le cose positive che questo governo ho fatto e che continuerà a fare» - aveva ribadito da remoto, venendo fischiato dalla platea. Ma Petrelli ha risposto per le rime: «il pacchetto sicurezza non solo introduce nuovi reati ma introduce nuovi reati che saranno coperti dall'ostatività del 4bis, il che significa ulteriori ingressi in carcere; l'unico ambito che non era stato diciamo ancora toccato da queste normative era quello del processo minorile, una sorta di gioiello della legislazione italiana. Il decreto Caivano, lodato dal senatore Ostellari, ha operato nel senso di consentire che anche i minori potessero subire l'esperienza carceraria, anche laddove non sarebbe stato possibile in precedenza».
Ma non finisce qui, perché Petrelli, rivolgendosi direttamente a Carlo Nordio, lo ha accusato anche di populismo giudiziario: «Signor ministro, lei ha detto che le misure alternative non sempre possono essere concesse, utilizzate; è una dichiarazione che osta non tanto in linea di principio, ma diciamo così nei fatti, con quella che dovrebbe essere invece una apertura rispetto all’utilizzo di sanzioni non carcerarie. Perché il ministro ha fatto proprio riferimento a un episodio di cronaca, come spesso capita, di un giovane resosi responsabile di un omicidio stradale ( il riferimento è a uno youtuber, che alla guida del suv Lamborghini travolse una Smart a Casal Palocco uccidendo un bimbo di cinque anni, e che ha patteggiato una condanna a 4 anni e 4 mesi, ndr), la cui condanna non dovrebbe essere scontata in carcere. Ma per il ministro invece, pur essendo una condanna che rientra nei limiti dei quattro anni, la voce, il clamore popolare, al quale bisogna dare ascolto, impedirebbe l' applicazione di quella misura alternativa: un bel passaggio a Rebibbia o a Regina Coeli gli avrebbe sicuramente raddrizzato la schiena e dopo quattro anni ne sarebbe sicuramente uscito come un uomo migliore. C'era un suo collega, signor ministro Nordio, non solo era un esimio giurista ma era stato ministro della Giustizia nella Germania di Weimar esattamente cento anni prima che lei divenisse ministro, nel 1923, e si chiamava Gustav Radbruch, il quale aveva coniato una geniale metafora, a mio avviso di grande attualità, secondo la quale “pensare di poter rieducare un uomo lasciandolo in un carcere è come pretendere di insegnare a qualcuno a nuotare tenendolo fuori dell' acqua”».
Pure forse per rispondere a chi nella platea avrebbe voluto alzarsi e lasciare la sala durante l’intervento di venerdì del Guardasigilli – sostenendo come da noi raccolto per cui «non si ci può far prendere in giro così», il leader dei penalisti, per quanto concerne i limiti all’appello, non del tutto eliminati nonostante la modifica dell’articolo 581 cpp, ha ribadito: «Tra la posizione della difesa di ufficio e quella fiduciaria si è privilegiata la difesa più forte, quella fiduciaria, e quindi credo che noi faremo altre astensioni, opporremo questioni di legittimità costituzionale, noi non ci fermeremo. Noi ci saremo». Ha poi proseguito: «Non abbiamo difficoltà a dire sì a iniziative legislative che incontrano il favore della nostra visione del processo e della giustizia penale. Abbiamo detto e diremo quando l'impronta garantista delle riforme ci appare troppo debole e troppo prudente. Abbiamo detto e continueremo a dire no a iniziative che entrano in rotta di collisione con la nostra visione della giustizia penale. Questo non significa l'interruzione di un dialogo, al contrario, perché riteniamo che un dialogo serio, onesto, nasca da un confronto leale, nel quale le parti contrapposte dicano la verità su quello che pensano. È la precondizione di un confronto costruttivo». «Noi non ci fermeremo fino a quando non avremo ottenuto quello che riteniamo giusto ottenere - ha concluso Petrelli - perché la questione non riguarda gli avvocati, non riguarda i difensori ma è una questione di giustizia sostanziale che riguarda tutti i cittadini».