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Giovanni Busia, presidente dell'Anac
Inutile nasconderlo: i rapporti tra Avvocatura e Anac sono stati spesso conflittuali. In particolare, in tema di incarichi legali conferiti dalle amministrazioni. L’impressione degli avvocati è di essere considerati dall’Anac fornitori come tutti gli altri, senza che si tenga conto della loro funzione. Però l’occasione di un dialogo non va mai persa. Specie se sia un dialogo aperto e franco, di confronto tra posizioni diverse ma cercando al contempo di superare le incomprensioni. Inutile aggiungere altro. Solo un sincero ringraziamento al Presidente dell’Anac Giuseppe Busìa per la disponibilità a rispondere a domande non di circostanza.
Presidente Busìa, lei è a capo dell’Anac, l’Autorità nazionale anti-corruzione. Ma non è un nome che porta un po’ fuori strada? Ha in sé una missione, totalmente condivisibile: la lotta alla corruzione. Ma, da un lato, induce a pensare che la corruzione sia dietro ogni cosa. Dall’altro, se hai un nome che è un obiettivo, sei portato a pensare che quell’obiettivo definisca la tua competenza; che ovunque ravvisi un rischio di corruzione, tu abbia il potere di intervenire. E poi il riferimento alla corruzione è riduttivo rispetto alle funzioni di Anac.
Autorità Nazionale Anticorruzione è il nome scelto dal legislatore per sottolineare un compito fondamentale dell’Autorità: la prevenzione della corruzione. Non è un capriccio del legislatore italiano, ma deriva dalla Convenzione Onu contro la corruzione: autorità con compiti simili esistono negli altri Paesi, e con esse collaboriamo in una intensa cooperazione internazionale. Avere un solido quadro anticorruzione è elemento essenziale, non solo per evitare danni economici rilevantissimi e aumentare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni, ma anche per attrarre investimenti esteri. Tuttavia, al di là del nome legislativamente previsto, Anac si presenta anche come Autorità della trasparenza e della buona amministrazione, oltre che della concorrenza nei contratti pubblici: Anac ha la vigilanza su tutti gli appalti del Paese. Lavora quotidianamente a fianco delle stazioni appaltanti e delle imprese, affinché ciascuno svolga al meglio i propri compiti. Senza nessun pregiudizio verso nessuno. Tanto più senza pensare che dietro a ogni cosa ci sia corruzione, perché fortunatamente non è vero.
All’Anac sono attribuiti molti compiti. Si va dalla prevenzione, con la verifica del rispetto degli obblighi su anticorruzione e trasparenza, a un potere di regolamentazione, a quello di intervento sul singolo appalto. Uno sforzo immane: Anac ha una struttura adeguata alle funzioni che le sono attribuite?
Sono tutte attività con profondi legami reciproci, e il fatto che siano affidate ad un’unica autorità indipendente garantisce non solo risparmi economici, ma rilevanti sinergie. Anche grazie al lavoro svolto, Anac si è guadagnata la fiducia del legislatore, che nel tempo le ha assegnato tali importanti funzioni istituzionali. Per poterle svolgere al meglio abbiamo adeguato la nostra struttura organizzativa e, soprattutto, lavoriamo in stretta sinergia con le altre amministrazioni e con le organizzazioni della società civile. Oggi Anac dispone di un organico adeguato, costituito da personale specializzato dotato di competenze riconosciute e comprovata esperienza.
Si può dire che l’attività dell’Anac è complementare alla tutela giurisdizionale, perché la legittimità amministrativa non può essere assicurata solo con il controllo penale e con i ricorsi al giudice amministrativo?
L’impostazione di tutta la normativa internazionale, e non solo l’esperienza italiana, ha ampiamente mostrato che non è sufficiente disporre di un sistema penale, di controllo repressivo e successivo, ma che è fondamentale poter contare su una efficace attività di prevenzione, svolta anche in forma collaborativa sia con le amministrazioni che con gli operatori che partecipano agli appalti. Questo è il compito di Anac. Determinante perché è preventivo e collaborativo, e quindi in grado di esercitare anche un’importante funzione deflattiva del contenzioso giudiziario. Solo per fare un esempio, Anac svolge in materia di appalti e concessioni una fondamentale funzione pre-contenziosa, rafforzata dall’ultimo Codice dei contratti pubblici: sia le stazioni appaltanti che gli operatori si rivolgono a noi, singolarmente o congiuntamente, su questioni controverse che insorgano durante le procedure, e noi adottiamo pareri, con una funzione sostanzialmente arbitrale. Prima ancora, grazie all’adozione di bandi-tipo e altri atti a carattere generale, offriamo strumenti pratici e diamo indicazioni per aiutare alla corretta applicazione del Codice, svolgendo inoltre una rilevante attività consultiva nei confronti delle stazioni appaltanti.
L’abrogazione dell’abuso d’ufficio – un reato che finiva per consentire l’intervento penale su comportamenti dai confini incerti – può lasciare più spazio a questo ruolo di Anac?
L’abuso d’ufficio era una norma di chiusura dell’ordinamento, presente in quasi tutti i Paesi europei, e la sua abrogazione ha rappresentato la risposta sbagliata a un problema reale. In passato, anche in ragione dell’indeterminatezza della disposizione, vi sono state applicazioni eccessive che hanno destato profonde perplessità, e troppe indagini avviate con danno degli interessati e poi concluse nel nulla. Era pertanto giusto ed è sempre giusto pretendere che le disposizioni penali siano estremamente puntuali e chiare, evitando la sofferenza portata a un innocente quando si vede oggetto di inchieste e di processi. Anche per questo, nel 2020, la fattispecie era stata fortemente circoscritta, per colpire solo i casi più gravi e odiosi di consapevole violazione di legge da parte di un funzionario pubblico con danno dei cittadini. L’abrogazione, giustificata con i numeri delle archiviazioni in larga parte figlie di tale ultima riforma, lascia oggi un vuoto di tutela penale rispetto a tanti abusi gravi non solo per il disvalore loro proprio, ma anche per la sfiducia che sono in grado di generare nei confronti delle istituzioni. In ogni caso, l’abrogazione avrebbe dovuto essere almeno controbilanciata da un corrispondente rafforzamento delle tutele amministrative. Un intervento normativo in tal senso sarebbe quanto mai auspicabile, soprattutto in materia di conflitto di interessi, atteso che il nostro ordinamento appare molto debole sul tema. Sarebbe opportuno, in particolare, dotare l’Anac di strumenti più pregnanti per poter intervenire, eventualmente anche con poteri conformativi, nei confronti delle amministrazioni inadempienti.
Presidente, lei ha detto che l’Anac “è, in sostanza, l’Autorità della Buona Amministrazione”. Non è un po’ troppo? Anche perché le altre cosa sono, le Autorità della cattiva amministrazione?
Il ragionamento nasce dalla constatazione che le regole di prevenzione della corruzione, se correttamente intese e applicate, si risolvono in regole di buona gestione e buona amministrazione, tese a garantire imparzialità ed efficienza pubblica. Detto questo, tutte le amministrazioni pubbliche, come indica la Costituzione, devono assicurare il buon andamento e l’imparzialità. Ciò sia garantendo una adeguata selezione del personale pubblico e neutralizzando i conflitti di interesse, sia curando che la gestione dei beni pubblici avvenga, per richiamare un’espressione del codice civile, con la diligenza del buon padre di famiglia. Anac ha in più il compito, affidatole dal legislatore, di vigilare sulla corretta applicazione di tali regole, ma prima ancora di aiutare le altre amministrazioni a conseguire tale obiettivo, supportandole e affiancandole: cosa che facciamo attraverso la vigilanza collaborativa.
La trasparenza, sia come pubblicazione dei dati sia come accesso su richiesta, è fondamentale: non può essere partecipata e paritaria un’attività amministrativa che non sia trasparente. Ma non ha l’impressione di una burocratizzazione del tema, con le amministrazioni costrette a produrre troppi piani e documenti?
La trasparenza dell’agire amministrativo è un requisito essenziale degli ordinamenti democratici, strumento fondamentale per garantire non solo un controllo diffuso, ma anche una reale partecipazione dei cittadini, singoli o organizzati, del quale le amministrazioni hanno più che mai bisogno. La trasparenza è anche un aiuto alle stesse amministrazioni chiamate a garantirla: grazie ad essa possono avere uno sguardo complessivo sul proprio agire e, soprattutto, possono conoscere quanto stanno facendo altre amministrazioni e trarre spunto per sinergie e occasioni di cooperazione, con risparmi di risorse e promozione di efficienza. Naturalmente offrire strumenti di buona trasparenza richiede impegno e comporta alcuni oneri amministrativi. Tuttavia questi si riducono fino a quasi annullarsi grazie alla digitalizzazione. Anche per questo Anac ne ha fatto una sua bandiera: rende agevole e meno costoso l’adempimento degli obblighi di pubblicità e trasparenza per le amministrazioni. Il decreto legislativo 33 del 2013 prevede che ogni amministrazione pubblichi sul proprio sito, nella sezione “Amministrazione Trasparente”, una serie di dati relativi alla sua organizzazione, alle remunerazioni, al patrimonio dei suoi dirigenti, ai contratti che stipula, ai concorsi che bandisce.
Ora, se questo viene attuato unendo le informazioni in un unico luogo digitale, diventa tutto più facile, meno costoso e di più agevole utilizzo per il cittadino. Per questo Anac ha dato vita al progetto della “Piattaforma Unica della Trasparenza”, punto di accesso unico alla totalità delle informazioni che le amministrazioni sono tenute a pubblicare. Dopo oltre 10 anni dal decreto del 2013, occorre anche ripensare l’elenco delle informazioni da pubblicare, sia nell’ottica della semplificazione sia della maggiore utilità, offrendo ai cittadini i dati di cui effettivamente hanno bisogno.
Gli incarichi legali delle amministrazioni sono sottoposti al Codice contratti? L’Anac, in una prima fase, riteneva che tutti gli incarichi legali fossero appalti. Poi è giunta a riconoscere che non lo sono gli incarichi puntuali. Ma ha posto anche per questi ultimi una disciplina appaltistica, ritenendola derivata dai principi del Codice. Nel frattempo si è passati da un Codice contratti all’altro. Si tratta quindi ora di comprendere come operi l’esclusione disposta per gli incarichi legali dall’articolo 56 del nuovo Codice. Ma lei condivide che il rapporto tra avvocato e assistito è del tutto peculiare, caratterizzato dal presupposto della fiducia? Sotto altro profilo, Anac dà alle amministrazioni l’ “autorevole” consiglio di tenere ciascuna un proprio elenco, sempre aggiornato e aperto, di avvocati. Ma è un compito oneroso che non risolve il problema di come scegliere tra i nomi nell’elenco. Non è così?
Il rapporto tra avvocato e assistito è certamente fondato sulla fiducia reciproca e ha natura peculiare. L’articolo 56 del nuovo Codice dei contratti pubblici chiarisce che le disposizioni codicistiche non si applicano ai servizi legali consistenti nella rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato o nella consulenza legale fornita in preparazione di un procedimento giudiziario, di arbitrato o di conciliazione, oltre che ad altri servizi legali che siano connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri. Attraverso tale esclusione, il legislatore ha preso atto della peculiarità della relazione sussistente tra avvocato e cliente, anche quando quest’ultimo sia rappresentato da una pubblica amministrazione; relazione caratterizzata dalla necessaria instaurazione di un rapporto di fiducia. L’affidamento dei servizi legali è invece riconducibile alla disciplina degli appalti pubblici qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (ad esempio, un triennio). In ogni caso, come l’Autorità ha evidenziato già nelle Linee guida n. 12, adottate in vigenza del precedente Codice dei contratti, anche l’affidamento dei servizi legali non riconducibili agli appalti deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. In particolare, rientra nelle migliori pratiche per l’affidamento di tali servizi la costituzione di elenchi di professionisti, eventualmente suddivisi per settore di competenza, previamente costituiti dall’amministrazione mediante una procedura trasparente e aperta, pubblicati sul proprio sito istituzionale. In tal modo infatti l’amministrazione può restringere tra essi il confronto concorrenziale al momento dell’affidamento, con effetti positivi in termini di maggiore celerità dell’azione amministrativa. In sostanza, una volta assicurato il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento mediante la periodica pubblicazione di un avviso per manifestazione di interesse, costituito un elenco di professionisti e garantiti il continuo aggiornamento e la costante integrazione dello stesso, operazioni che attualmente, con l’ausilio degli strumenti digitali, possono essere espletate con ridotti oneri amministrativi e procedurali, l’amministrazione potrà selezionare il professionista cui affidare l’incarico sulla base del suo curriculum e della sua specifica competenza ed esperienza per materia. Nelle ricordate Linee guida 12/2018, contenenti indicazioni utili anche nell’attuale contesto, Anac raccomanda in ogni caso che la selezione dall’elenco avvenga sulla base di criteri non discriminatori e nel rispetto del principio di rotazione, onde evitare il consolidarsi di rapporti solo con alcuni professionisti. Il principio di rotazione va contemperato comunque con la necessità di tener conto delle specifiche competenze tecniche richieste per lo svolgimento dell’incarico.
Le amministrazioni non sono tutte uguali. Gli Ordini professionali, e in particolare quelli forensi, hanno una loro storia. Hanno una dimensione associativa che precede quella pubblica. Benissimo sottoporli alla trasparenza, in una logica di vigilanza sull’esercizio delle funzioni pubbliche. Ma si può dubitare che siano sottoposti al Codice dei contratti. Ad escluderlo vi sono argomenti generali, condivisi dalla Corte di Giustizia Ue: gli Ordini usano risorse dei propri iscritti, non sono organismi di diritto pubblico. E ora una norma specifica li separa dal resto degli enti pubblici (l’articolo 2 bis del Dl 101/2013, nel testo introdotto nel 2023). Condivide tale conclusione?
La questione, senza dubbio complessa e controversa, è in primo luogo rimessa al legislatore e ha trovato nel tempo chiarimenti fondamentali da parte del giudice amministrativo. Va ricordato che gli Ordini professionali sono tenuti all’adempimento degli obblighi di trasparenza in quanto svolgono una funzione pubblica, connessa con la garanzia dell’ordinato esercizio di una determinata attività professionale. Ciò premesso, in più occasioni Anac si è mostrata consapevole della specificità di Collegi e Ordini professionali, prevedendo ad esempio l’eliminazione di obblighi di pubblicazione e l’aggiornamento di vari documenti.
Non pensa che la trasparenza sia un concetto molto più ampio della prevenzione della corruzione e della vigilanza sui contratti pubblici (pur essendo tutte materie di competenza Anac)? Ragion per cui l’Anac dovrebbe distinguere situazioni e obblighi, e non applicare sempre un “pacchetto” unitario da essa stessa gestito?
La trasparenza amministrativa costituisce il prerequisito per una effettiva partecipazione dei cittadini alle scelte dei decisori pubblici, operando come uno dei più efficaci fattori di accrescimento del grado di democraticità del sistema. Rappresenta, quindi, la declinazione del principio costituzionale di sovranità popolare, traducendosi nella forma più alta e consapevole di partecipazione alla vita democratica. In Anac siamo profondamente convinti che la trasparenza sia un concetto trasversale, che attraversa prevenzione della corruzione e vigilanza sui contratti pubblici, ma si estende oltre. Non abbiamo mai pensato di “applicare” un pacchetto unitario, valido per tutti, senza tener conto della realtà. Per esempio, stiamo per lanciare la nuova piattaforma di supporto ai piccoli Comuni per predisporre il Piano anticorruzione e trasparenza. Poiché un conto sono i grandi Comuni metropolitani, dotati di strutture molto ampie, altro conto quelli piccoli.
In conclusione, e al di là delle diverse posizioni, condivide l’idea che qualcosa di fondamentale ci unisce, Anac, avvocati, giudici: cioè che facciamo parte, con ruoli diversi, di un sistema complessivo che serve a garantire la legalità nell’operato delle amministrazioni?
Condivido assolutamente. Il legislatore, in particolare con la legge anticorruzione n. 190 del 2012 e i successivi decreti integrativi, ha delineato un sistema in cui Anac, avvocati e giudici, come pure altri soggetti, sono chiamati a partecipare, ciascuno con il proprio ruolo e nell’ambito della propria area di attività, ad un grande sforzo corale non solo per assicurare la legalità nell’operato delle pubbliche amministrazioni, ma anche per sviluppare nel Paese una vera cultura dell’integrità, della trasparenza e della partecipazione civica.