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Valerio Morucci un uomo del Sisde? L’inquietante domanda arriva da Giuseppe Fioroni, il presidente della commissione bicamerale che ri- indaga sulla strage di via Fani. La nuova ondata di interrogativi partorita dalla commissione non si discosta dalla tante che si sono susseguite.
Valerio Morucci un uomo del Sisde? Ma non era Mario Moretti il fellone al soldo non si sa di chi ma in questi casi i servizi “deviati” si sa che c’entrano sempre? I due, lo sa chiunque abbia anche solo sfiorato il caso Moro, erano in conflitto frontale. Vorrà dire che dietro il fattaccio che seppellì la vera prima Repubblica si davano da fare non uno ma due pupari impegnati in cinica tenzone sulla pelle del presidente della Dc?
Il dubbio, l’inquietante domanda, la vertigine che deriva giocoforza da questo proliferare di ipotesi contraddittorie spunta quando il presidente della commissione bicamerale che ri- indaga sulla strage di via Fani, 16 marzo 1978, e sui successivi 55 giorni chiede ad Adriana Faranda, all’epoca del sequestro compagna di Morucci, se è al corrente della collaborazione del medesimo “Pecos”, come soprannominato un tempo, col Sisde nel 1990, quando i due ex Br non facevano peraltro più coppia fissa da un bel po’. Faranda cade dalle nuvole. Balbetta qualcosa come un classico «Non so.. Non credo... Sarà stata una consulenza».
In realtà nel mistero numero centomila di misterioso non c’è nulla. Uscito da poco di galera, riciclatosi da esperto d’armi in tecnico informatico, squattrinato, Morucci cercava lavoro a destra e manca, bussava a ogni porta inclusa quella del Sisde, col quale aveva avuto inevitabili contatti negli anni della collaborazione, sia pure in veste di dissociato e non di pentito, con investigatori e inquirenti.
La nuova ondata di interrogativi partorita dalla nuova commissione Moro non si discosta dalla tante che si sono susseguite nel corso dei decenni. Monta ipotesi e dicerie promuovendole a fatti. Scarta a priori l’eventualità della pura coincidenza. Trasforma il sospetto in indizio. Uno sguardo ai più scottanti tra i neo- misteri aiuta a capire. E’ tornata in auge l’idea che dietro alla strage di via Fani ci sia la ‘ ndrangheta, che va da sé avrebbe comuque lavorato in conto terzi. La prova è una foto nella quale, tra la folla addensata nella via dopo il massacro, compare un uomo che potrebbe somigliare al nipote omonimo di un boss calabrese: Antonio Nirta. Forse si tratta davvero di lui, forse no. Le risultanze dicono che «non si può escludere» ma alcuni militanti romani dicono invece di aver riconosciuto un compagno del Movimento di allora. Quand’anche si trattasse davvero del Nirta junior in questione, la presenza nella folla sarebbe magari un po’ poco per concludere che le ‘ ndrine avevano pianificato e magari anche eseguito la mattanza. Niente da fare: dietro il sequestro c’è “l’ombra della ‘ ndrangheta”, e chi ne dubita o è tonto o cospira a propria volta.
E’ inoltre data per appurato, anche in seguito all’audizione di uno dei leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Abu Sharif, che il capo dei servizi segreti in Medio Oriente nonché uomo di fiducia di Moro Stefano Giovannone, si trasferì a Roma, si adoperò come poteva, coinvolse i vertici dell’Olp che volentieri collaborarono. In realtà Sharif ha detto che quella collaborazione non ci fu e né fu chiesta, pur assicurando, parola sua, che le Br erano infiltratissime dagli americani. Ma che Giovannone si sia dato da fare è comunque certo, anche perché era stato lo stesso Moro a chiedere il suo intervento, nella prima lettera dal carcere. E’ probabile che qualcosa i palestinesi abbiano davvero provato a fare, nonostante le assicurazioni in senso opposto di Sharif. Perché il fatto dovrebbe suscitare scalpore però resta in effetti misterioso, fatto salvo il particolare dei rapporti tra Olp e Br che in effetti l’Olp per primo ha tutto l’interesse a negare per sin troppo ovvi motivi. La cosa ha una sua rilevanza, che però con la morte di Aldo Moro non c’azzecca.
Più diretto sarebbe stato l’intervento di non meglio identificati “tedeschi”, eventualità suffragata soprattutto dal fatto che una testimone avrebbe sentito gridare in via Fani “Achtung, Achtung”. Sembra una barzelletta. Non lo è. Ma sulla credibilità dei testimoni capitati in mezzo a una sparatoria velocissima e comprensibilmente frastornati è d’uopo ricordare che per decenni interi castelli di ipotesi azzardate sono state costruite sulle dichiarazioni del superteste Alessando Marini, quello sul quale avrebbero aperto il fuoco i due sconosciuti sull’ormai famigerata Honda crivellando il parabrezza. Solo l’anno scorso un giovane ricercatore ha rintracciato le foto scattate in via Fani dopo l’agguato. Il parabrezza di Marini è intatto.
Il caso estremo è quello del Bar Olivetti, proprio di fronte al luogo dell’attacco in via Fani. Il 16 marzo 1978 era chiuso da un bel po’. Capita però che qualcuno si ricordi di averci preso il caffè proprio quella mattina. La commissione ipotizza che il bar fosse aperto, con ciò stabilendo che per oltre 35 anni le indagini erano state affidate all’ispettore Clouseau ( cfr. La pantera rosa). Essendo piuttosto facile certificare che il locale era effettivamente chiuso, sorge il dubbio che però all’interno ci fosse qualcuno, evidentemente appostato dietro le saracinesche calate, e chissà perché l’idea balzana debba apparire più realistica che non uno scherzo della memoria di quanti, sempre dopo 35 anni e oltre, si sono ritrovati in bocca il sapore del caffè degustato quel giorno.
Naturalmente il gioco perverso ma gustosissimo delle coincidenza non si ferma qui. Il proprietario del bar, Tullio Olivetti, era infatti stato coinvolto in una storiaccia di traffico d’armi, uscendone però pulito. Il che sembrerebbe significare che non c’entrava niente, ma solo per gli ingenuotti. Rivela invece le alte coperture di cui il reprobo potrebbe aver goduto, a ulteriore conferma della trama fitta dietro il sequestro. Del resto, ciliegina sulla torta, Olivetti era a Bologna il 2 agosto 1980, giorno della strage. Gatta ci cova e “tutto si tiene”, secondo il motto che orienta gli incubi dei paranoici ovunque nel mondo.