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Helicopter drop of money. È questa la ricetta che Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica dell’Università di Roma “Tor Vergata” e presidente del comitato scientifico di “Next - Nuova Economia per Tutti”, avanza da qualche settimana.
Professor Becchetti, ci spieghi meglio che cosa si intende per “Helicopter drop of money”.
Si tratta di soldi che la Banca centrale dovrebbe mettere direttamente sul conto di cittadini e imprese. Una proposta che ho avanzato qualche settimana fa su Avvenire.
Basta guardare agli Stati Uniti, dove, nonostante un sistema sociale disastroso, sono intervenuti in modo tempestivo, veloce e corretto. Adottando anche un sistema fiscalmente progressivo: dando più soldi a chi ha un reddito più basso.
Secondo lei, quindi, la soluzione non è quella dell’aumento del debito pubblico?
Bisogna evitare che una crisi, della quale gli Stati non sono responsabili, si trasformi in un aumento del debito pubblico, facendo lievitare nel medio termine il fardello degli interessi sui singoli Paesi. L’ideale sarebbe, invece, sterilizzare l’effetto sull’aumento del debito pubblico grazie all’helicopter drop of money.
Esistono altre strade per affrontare la crisi?
Ci potrebbe essere una emissione coordinata dei Paesi europei. Parlo degli eurobond che dovrebbero essere rimborsati pro quota dai singoli Stati. È un’ipotesi al momento non praticabile, speriamo che lo possa essere nel futuro immediato, dal momento che produrrebbe un tasso di interesse medio tale da favorire i Paesi più deboli. Ecco perché alcuni la osteggiano: si troverebbero a pagare interessi leggermente più alti.
Siamo in guerra come dice Mario Draghi?
La guerra è un conflitto tra due fazioni, in questo caso tutto il mondo combatte contro il virus. Siamo quindi in una situazione migliore della guerra dalla quale si può uscire se lavoriamo tutti insieme. Come conseguenze economiche siamo in una situazione simile alla guerra e tutto dipenderà da quanto durerà il lockdown. Facendo un ragionamento a spanne: se il 50% dell’economia si ferma per un decimo dell’anno si perde circa il 5% del Pil. Abbiamo bisogno di una serie di risposte economiche immediate, purtroppo stanno emergendo quelli che sono i difetti strutturali del nostro Paese.
Quali?
Su tutto la farraginosità nel realizzare i progetti. È un difetto proprio dell’italianità. Si sviluppano grandi idee, ma non si ha la tenacia di realizzarle in tempi brevi, a partire già dal giorno successivo. A questo si aggiunge la storica lentezza della burocrazia. Una situazione che in momento come questo non ci possiamo permettere.
Tutti ripetono “nulla sarà più come prima”, ma in Europa sembra che non sia cambiato nulla.
Il giudizio sull’Europa deve essere equilibrato, dovremmo smettere di avere un atteggiamento ideologico. L’Europa dei passi avanti li ha fatti, come la sospensione del patto di stabilità ad esempio. La Bce, rispetto a un’iniziale atteggiamento di chiusura, sta impegnandosi molto di più e ha varato il quantitative easing senza limiti di quote. Certo non è il massimo e si poteva fare molto di più.
Ci potrebbe essere quella che Gentiloni ha prefigurato come “la rinascita europea”.
Dipende da quanta cooperazione si riesce a mettere in campo. Purtroppo la propaganda negativa è in piena attività: si evidenzia, ad esempio, che sono arrivati dei medici albanesi ma si tace sul fatto che la Germania ha messo a disposizione dell’Italia dei posti letto per i malati Covid- 19.
È ottimista sui futuri impegni dell’Europa?
Lo scatto in avanti dell’Europa ci potrebbe essere solo se c’è o la spinta dei mercati finanziari o, paradossalmente, se la situazione continuasse a essere grave, cosa che ovviamente non speriamo.
E ai “neuroscettici, come li ha definiti in un suo libro, cosa si sente di dire?
Non ragionano a mente fredda e non capiscano che non esiste un’alternativa all’Europa, anche se dobbiamo spingere per cambiare l’atteggiamento di Bruxelles.
Le misure economiche adottate
dal governo sono giuste? Si parla anche di reddito di emergenza?
Vanno nella giusta direzione. Bisogna fare molta attenzione affinché nessuna categoria venga lasciata indietro. Penso agli autonomi, agli irregolari, alle organizzazioni di Terzo Settore. Non vanno dimenticati anche tutti quelli che lavorano in nero Per esempio il Portogallo ha fatto una cosa molto bella regolarizzando gli immigrati presenti nel Paese per poter garantire loro le cure necessarie per l’emergenza Coronavirus.
Il Terzo Settore, anche in questa emergenza, ha dimostrato la sua forza.
Come economia civile insistiamo molto sul tema dell’ibridazione. Abbiamo, cioè, bisogno di una convergenza tra profit e no- profit, con quest’ultimo che si sforza di trovare meccanismi per creare valore, con l’obiettivo di essere autosufficiente. Mentre il profit deve puntare a diventare più sostenibile. È fondamentale l’importanza del contributo che il Terzo Settore può produrre in termini di beni pubblici e bisogna aiutare i cittadini a capire il valore che il no profit crea, dando un contributo fondamentale per quei beni pubblici che in questo periodo stiamo vedendo essere così importanti, come la salute e i servizi sociali.
Questa emergenza ha fatto emergere le difficoltà del nostro sistema sanitario.
Certamente. È una lezione che abbiamo imparato e già nel decreto “Cura Italia” ci sono dei provvedimenti che vanno nella giusta direzione per la sanità. La sanità pubblica è fondamentale e le strutture vanno potenziate. Questa epidemia ha fatto emergere i nostri difetti, ma anche la nostra generosità. Sono rimasto molto colpito per le quasi diecimila domande per 500 posti di infermiere da destinare alle zone più a rischio. Siamo un popolo generoso e non fatto di homines oeconomici. Dobbiamo però improvvisare meno, essere più sistematici e portare a termine le buone idee che abbiamo.
Questo Coronavirus ci porterà anche qualcosa di positivo.
Dobbiamo imparare la lezione. Sto collaborando, come consigliere economico, con il ministro dell’Ambiente Sergio Costa e abbiamo fatto due proposte per l’emergenza: lo smart working e le fiscal free zone. Cercavamo qualcosa che aumentasse la produttività, che avesse effetti positivi sulla salute, sull’ambiente e aumentasse la resilienza agli shock futuri. Lo smart working è stata una esercitazione forzata e proponiamo che questa abilità non vada perduta, anzi va incentivato per ridurre il digital device e investendo sulle reti informatiche. Si potrebbe pensare a una settimana al mese di smart working, organizzando dei gruppi di lavoro.
E le fiscal free zone?
Questa epidemia è esplosa in maniera violenta soprattutto in alcune aree del Paese che sono anche quelle più inquinate dalla presenza di polveri sottili, le quali provocano danni ai polmoni. Una situazione evidenziata da innumerevoli studi in tutte le aree più inquinate del mondo. L'inquinamento e i suoi danni sono un epidemia permanente con 219 morti al giorno per inquinamento in Italia. La proposta è quella di utilizzare risorse pubbliche per gli investimenti green delle imprese, soprattutto in quelle aree più produttive, ma più fragili dal punto di vista dell’inquinamento. In questo modo, in futuro, si potranno evitare anche le multe per infrazioni comunitarie dell’inquinamento.
Lei, con un gruppo di suoi colleghi economisti, lavora per lo sviluppo di economia civile che si basa sulla generatività. Può essere un modello da seguire nel dopo- Coronavirus?
Tutti gli studi ci dicono che la variabile principale della felicità delle persone è la generatività della loro vita. Tanto più contribuiscono le persone tanto più hanno un tornaconto interiore delle cose che fanno tanto più sono felici. Dobbiamo costruire società generative e il welfare lo stiamo ridisegnando secondo questa impostazione. Dando, cioè, alle persone emarginate la possibilità di rendersi nuovamente utili per rendere felici gli altri. Per esempio abbiamo costruito con Next la piattaforma “Gioosto” che promuove prodotti dell’economia carceraria e di altre aziende che coniugano la qualità del prodotto con l’impegno sociale e ambientale.