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Se Mario Draghi non avesse fatto l’economista, il funzionario pubblico, il banchiere centrale, poteva diventare un ottimo giocatore di poker. Con quella faccia da Buster Keaton ( muscoli facciali perennemente a riposo) nessuno avrebbe mai capito quando aveva un poker d’assi o bluffava. Ma ha scelto un’altra strada: voleva studiare. Così ha preso una laurea in Economia, un Phd con Modigliani a Boston, ha guidato la direzione generale del Tesoro, la Banca d’Italia e ieri ha lasciato la poltrona di presidente della Banca centrale europea.
Quella faccia e quell’animo di giocatore di poker, però, gli sono tornati utili in questi anni. Soprattutto nei momenti difficili.
E’ l’ 11 settembre 2001. Due aerei sono entrati nelle Torri gemelle di New York. Sui mercati c’è il panico. Mario, come sherpa del G- 7, è in continuo contatto con i suoi colleghi di mezzo mondo. A chi lo raggiunge al telefono ha tempo per dire: “Nulla sarà più come prima”. Forse la frase non l’ha coniata lui, forse l’ha registrata da conversazioni precedenti. Resta un fatto: aveva ragione. Nulla è stato più come prima.
Come nulla è stato più come prima dopo il suo motto “whatever it takes”, faremo qualunque cosa; la formula proseguiva: per difendere l’euro. Compreso portare i tassi europei in territorio negativo e, soprattutto, realizzare il sogno berlusconiano di far diventare la Bce una banca di ultima istanza. Cioè, che oltre a salvaguardare la stabilità dei prezzi ( controllo dell’inflazione), controllava lo spread attraverso acquisti dei titoli pubblici.
Sarebbe però un errore attribuire a Draghi una simpatia per questa o quella fazione politica. Da buon giocatore di poker non fa mai capire le sue mosse o le sue simpatie. Così, a chi nella conferenza stampa di commiato gli chiede: ed ora che farà? lui risponde accennando un sorriso: onestamente non lo so, chiedete a mia moglie. Che di certo non si strapperà le vesti per dover abbandonare Francoforte e tornare al suo attico ai Parioli.
La scuola dei gesuiti ha insegnato a Draghi la determinazione e la costanza pur di raggiungere un obbiettivo. Fino al punto di far digerire ai tedeschi l’abbassamento dei tassi e l’intervento del Quantitative Easing. Per la Germania, la riduzione dei tassi è sinonimo di aumento dell’inflazione, e da quelle parti il fantasma della Repubblica di Weimar ancora turba i sonni della Cancelleria. Eppure, c’è riuscito. Tant’è che l’inflazione europea resta ben al di sotto dall’obbiettivo del 2%.
Ieri ha confessato che talvolta le decisioni prese della Bce non sono state all’unanimità. Ma le ha guidate e volute dove puntava lui. Qualcosa gli è rimasto in mano. Per esempio, l’Unione bancaria. O l’altra, più grande incompiuta: l’armonizzazione dei bilanci europei. Più volte ha ammesso che la politica monetaria, da sola, non è sufficiente a favorire la crescita: serve una politica di bilancio orientata alla crescita.
Ed ancora di più servirà in futuro, “visti i rischi di ribasso della crescita” a livello continentale. “Ma, nel complesso, i tassi negativi stanno facendo bene all’economia”: sassolino della scarpa che si è tolto in conferenza stampa e lanciato ai tedeschi; che, per i tassi negativi, stanno vedendo le proprie banche soffrire più del dovuto.
Al posto di Mario Draghi, del giocatore di poker, del Buster Keaton della finanza, arriva l’effervescente Christine Lagarde. Francese, sempre elegante, business woman, charmant. Nel suo cv non ha Phd all’Mit di Boston; ma è stata ministra dell’Economia ed avvocato in una banca d’affari. Ha lasciato il Fondo monetario per approdare a Francoforte.
E’ lo stesso Draghi ad illustrare il testimone che lascia alla Lagarde: “è necessaria ancora a lungo una posizione altamente accomodante” di politica monetaria. L’invito, insomma, è a non cambiare nulla. Anche a costo di subire qualche critica da parte dei governi. “Noi dell’Eurotower siamo indipendenti in un sistema di interdipendenza politica”, qual è quella europea, ha sottolineato Draghi in conferenza stampa. E se lo dice lui che è stato l’unico presidente della Bce a completare il mandato. Il primo presidente è stato l’olandese Wim Duisenberg, poi gli è subentrato a metà incarico ( staffetta) il francese Jean- Claude Trichet. E poi è arrivato il giocatore di poker Mario Draghi. Fino a ieri. E sono in pochi a credere che si prenoti una panchina a Villa Borghese.