«Dico una cosa che potrà sembrare provocatoria: con la norma sulle ordinanze cautelari il ruolo della stampa, la funzione del cronista, escono rafforzati. Viene dato maggior peso alla responsabilità del giornalista di restituire la vicenda giudiziaria, senza il ricorso distorsivo e manipolativo alle parole letterali del giudice». Sergio Rastrelli, segretario di presidenza nella commissione Giustizia di Palazzo Madama, è il senatore di Fratelli d’Italia che ha avuto l’onere di fare da relatore per alcuni dei provvedimenti più delicati discussi negli ultimi mesi. Prima la cosiddetta legge Zanettin, che introduce il limite dei 45 giorni per le intercettazioni, salvo i casi in cui emergano elementi tali da giustificare ulteriori proroghe. Quindi, nella settimana appena trascorsa, ha proposto ai colleghi dell’organismo presieduto da Giulia Bongiorno il parere, favorevole, sulla “legge Costa”, il decreto che attua la norma inserita, su iniziativa del deputato appena tornato in Forza Italia, nell’ultima legge di delegazione europea, e che ristabilisce il divieto di pubblicare in modo testuale, integralmente o per estratto, l’ordinanza di custodia cautelare.

Partiamo dalle intercettazioni: l’opposizione vi accusa di voler limitare “selettivamente” il ricorso al più prezioso degli strumenti investigativi.

No: è molto semplicemente la soluzione che mette fine, una volta per tutte, allo sconcio delle proroghe illimitate. Ma sarebbe fuorviante isolare quel provvedimento dalla cornice più generale del nostro percorso sulla giustizia. Noi vogliamo che questa legislatura abbia una dimensione costituente e che, nel caso della giustizia, non solo ridisegni gli equilibri fra politica e magistratura ma riporti anche un ordine, un equilibrio all’interno della giurisdizione stessa.

È una strada che espone il centrodestra alle solite accuse di favorire l’impunità.

Sul tema delle riforme in campo penale sono caduti governi. Sono implose maggioranze. È un ambito in cui da molto tempo l’Italia vive una forte sollecitazione, sotto il peso ingombrante di un giustizialismo epidermico. Il che però non ci fa paura. Noi portiamo avanti le riforme. Quelle di rango costituzionale e gli interventi sulla dinamica processuale. Il consenso c’è, si rafforza. Vuol dire che siamo sulla strada giusta anche dal punto di vista degli elettori.

Intanto siete stati travolti dalle accuse di voler imbavagliare l’informazione, a proposito della “legge Costa”.

Le reazioni sono molto legate alla circostanza per cui quel provvedimento governativo, sul quale in commissione Giustizia siamo stati chiamati a esprimere un parere, tocca direttamente il sistema mediatico. L’evocazione del bavaglio era una suggestione a portata di mano. Ma ripeto: il diritto- dovere della libera informazione esce addirittura valorizzato, dalla norma sulla quale ci siamo pronunciati.

Capirà che molti troveranno davvero provocatoria questa interpretazione.Guardiamo ai fatti: riportare l’ordinanza di custodia cautelare nel perimetro della segretezza non impedisce al cronista di riferire anche in modo dettagliato sulle dinamiche interne al processo, ma il divieto di citare testualmente le parole del gip trasferisce in modo esclusivo sul cronista giudiziario quella responsabilità. Riportare gli stralci di un’ordinanza di custodia cautelare induce nel lettore, nell’opinione pubblica, l’idea di una presunzione di colpevolezza. Aggiungo un dettaglio tutt’altro che marginale.

Cioè?

Ha mai visto un giornale che pubblica in modo integrale un’ordinanza di custodia cautelare? Sarebbe impossibile. Se ne possono restituire pochi stralci. E da anni assistiamo a una selezione manipolativa per cui quegli stralci sono funzionali a evocare la colpevolezza, e spesso ciò avviene in relazione a una dinamica politica, alla volontà di esporre come bersaglio un avversario oggetto di una certa vicenda giudiziaria. È una prassi che andava interrotta, a prescindere dal colore e dai bersagli politici di quelle manipolazioni.

Ma perché le parole testuali del gip sarebbero più “velenose” della sintesi di un cronista?

Semplice: perché le parole testuali del gip restituiscono come verità assiomatiche tesi esposte assai prima che la difesa entri in partita, e assai prima anche che si incardini un processo in quanto tale. Attenzione: il giudice delle indagini preliminari è cosa diversa dal magistrato che governerà un processo e scriverà la sentenza, perché si tratta di un giudice del controllo, non della terzietà. Come potrebbe essere un giudice della terzietà se, nell’emanare un’ordinanza, non ha praticamente mai lasciato che la difesa entrasse realmente in gioco? Terzo rispetto a cosa se, nella fase preliminare, a giocare è solo l’accusa?

È indiscutibile che quella suggestione colpevolistica restituita dal gip può condizionare non solo l’aspettativa dell’opinione pubblica ma, indirettamente, lo stesso giudice che dovrà pronunciarsi sul processo.

È inevitabile: la prassi di riportare in modo letterale stralci di un’ordinanza che ordina la custodia in carcere non solo mortifica la posizione dell’indagato presunto innocente, ma impone un convincimento anticipato, ben prima che intervenga la difesa, proprio in chi dovrà giudicare sulla responsabilità di quella persona. Affidarsi alla sintesi del giornalista anziché all’assertività di un’ordinanza significa valorizzare il ruolo dell’informazione, ma nella responsabilità.

Pensare di schiacciare la belva del processo mediatico non è una pretesa ai limiti del temerario?

Diciamola in modo più semplice e nello stesso tempo più solenne: vogliamo ristabilire gli equilibri dentro e fuori dal processo, il che significa consentire il ritorno imperioso della giurisdizione. È un’espressione, quest’ultima, di cui si percepirà la particolare enfasi, ma è un concetto a cui tengo molto e che rappresenta la linea di Fratelli d’Italia sulla giustizia.

Nel parere di cui lei è stato relatore, chiedete di inasprire le sanzioni per chi infrange il divieto di pubblicazione.

Intanto sollecitiamo il governo a valutare l’estensione del divieto a provvedimenti che hanno la stessa natura, che rischiano, se riportati testualmente, di produrre gli stessi effetti in termini di suggestione di colpevolezza. Naturalmente chiediamo anche di garantire l’effettività del divieto. Che non esiste, se all’infrazione corrisponde un’ammenda, un’oblazione da poche centinaia di euro. Aggiungo che tale indicazione, per ragioni tecnico-costituzionali, è destinata a essere accolta dal governo attraverso ulteriori provvedimenti, per evitare di eccedere la delega. Ma ha raccolto il consenso di una maggioranza allargata a Italia Viva, e soprattutto capovolge lo schema secondo cui il Parlamento sarebbe un esecutore di scelte compiute dall’Esecutivo: in commissione Giustizia io ho insistito affinché ci riprendessimo il ruolo di chi casomai stabilisce l’indirizzo politico di cui poi il governo si fa portatore.

In conclusione, un off topic: tra gli emendamenti sulla separazione delle carriere è giusto che trovi posto anche l’avvocato in Costituzione?

Sono un avvocato. Ma il mio favore per una scelta del genere risiede in una convinzione davvero profonda, che prescinde dall’esercizio di un’attività professionale: l’avvocatura è un baluardo insostituibile non solo nel tessuto sociale ma nell’equilibrio costituzionale dello Stato.