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È da tempo in voga un luogo comune secondo il quale il magistrato sarebbe il “garante della legalità”, che io considero molto pericoloso e che è la causa principale della deformazione della funzione della giustizia, del suo rapporto anomalo con l’opinione pubblica, e spiego perché.
La sovraesposizione dei pubblici ministeri prima ancora che dei giudici e il ruolo politico che entrambi hanno assunto negli ultimi anni, hanno modificato la funzione istituzionale “terza” propria della giustizia per farle assumere quella di “garante della questione morale” e riferimento unico della legalità. I giudici, o meglio i magistrati, hanno una funzione completamente diversa: debbono reprimere l’illegalità sanzionando il fatto criminoso e risarcendo in tal modo la comunità dello strappo che il reato ha determinato nel tessuto sociale. La funzione nobile e di garanzia sociale è questa ed è prerogativa in particolare del giudice, non del pubblico ministero che ha il solo compito dell’accusa come “parte” del processo.
Da molti anni tutto questo è stato dimenticato e sia il pubblico ministero che il giudice nella grande confusione dei ruoli hanno teorizzato una funzione della giustizia come una “lotta” alla devianza per “garantire la legalità” e la lotta è sempre “politica”.
La conseguenza è che si è determinata una funzione etica del magistrato che “lotta” per far vincere ( p. m. e giudice insieme) il bene sul male. Niente di più pericoloso di un giudice etico come hanno ritenuto di essere in questi anni i vari Caselli, Di Pietro, Davigo e altri.
E dunque sembrerà strano ma per comprendere lo scandalo delle intercettazioni che in queste ore assale la magistratura bisogna risalire a questa anomala funzione.
Quindi le sciagure odierne non sono occasionali, ma partono da lontano, dalla sfrenata autonomia a svantaggio della indipendenza che la magistratura ha maturato in questi anni.
Alla fine degli anni ‘ 60 fu approvata una legge che aboliva la “valutazione” nel passaggio del magistrato dal tribunale alla Corte d’Appello; e poi negli anni 70 i magistrati pretesero il passaggio automatico dalla Corte d’Appello alla Cassazione. In quegli anni per la prima volta in Parlamento insieme a Francesco Cossiga facemmo dura opposizione insieme ad un repubblicano storico, Oronzo Reale, ma la DC si piegò e approvò ed io fui messo all’indice. A seguito di quella legge tutti diventarono e diventano magistrati di Cassazione indistintamente; e questo per la pretesa incredibile di non intaccare la “indipendenza” dei magistrati neanche con i concorsi!!?
La conseguenza di questo e di tante altre “prerogative”, come ho spiegato in vari libri e articoli, è che la magistratura da “ordine autonomo”, come vuole la Costituzione, è diventato “potere” e il potere ha sempre un valore politico.
Il magistrato, dopo questi anni di scorribande istituzionali, deve rientrare in sè e riaffermare il suo ruolo che non è etico: garantire la legalità è compito dei maestri, dei professori, della classe dirigente tutta a cui deve stare a cuore la questione morale tanto invocata che è un valore preventivo: fa parte dell’educazione civica del cittadino: la sanzione è la condanna e la sanzione per la questione morale disattesa.
Il CSM per questa ragione non riesce ad essere un organo di “garanzia” che tutela l’indipendenza, ma un organo che tutela solo l’ “autonomia” come separatezza, fuori da ogni responsabilità e da ogni controllo come oggi possiamo agevolmente constatare. La assoluta “autonomia“intacca l’indipendenza che dunque è insidiata non dal potere politico ma della stessa magistratura. Come tutti sanno questo “potere“ è esercitato da sempre dai magistrati ma siccome si tratta di un “potere anomalo“le trattative correntizie fanno scandalo e giustamente.
Le pratiche di lottizzazione che da anni si portano avanti in maniera spregiudicata, non sono ammesse per scelte che dovrebbero essere fatte non attraverso trattative di lottizzazione per garantire appunto la imparzialità di chi deve dirigere un ufficio giudiziario.
Per superare questo scandalo che squalifica l’istituzione c’è bisogno di una presa di coscienza della stessa magistratura, la quale deve accettare le riforme che da anni indichiamo e che ha sempre ostacolato: è l’unico modo per rimediare, perché il governo in carica non ha la cultura per comprendere e scegliere le riforme necessarie; sa solo inasprire le pene per imporre una sorta di castigo eterno! che qualunque giurista sa non avere alcun valore. In particolare, dunque, per superare questa prova durissima che inevitabilmente la segnerà per sempre, la magistratura dovrebbe accettare alcune riforme e per prima la riforma del pm il cui ruolo deve essere diverso da quello del giudice per dare valore al processo penale che negli anni 90 abbiamo voluto accusatorio: bisognava superare quello “inquisitorio” che sembrava meno democratico e meno garantista. La stessa magistratura deve riconoscere, soprattutto dopo i racconti che la stampa ci ha offerto, che è urgente modificare il rapporto tra laici e togati del CSM per determinare una parità in modo da attribuire un ruolo più incisivo agli stessi laici all’interno del consiglio; stabilire che anche il pubblico ministero come il giudice non possa permanere nella stessa sede più di cinque anni per evitare che si determinino aderenze e solidarietà negative. Per rispondere alle preoccupazioni del Capo dello Stato bisognerà modificare rapidamente il sistema elettorale per la nomina dei componenti sul supremo organo per rendere possibile una scelta personale per i suoi componenti i quale debbono avere qualità professionali ma anche capacità di gestione del ruolo non solo giuridico e che deve esercitare.
Il sistema elettorale proporzionale ha esaltato le correnti e le ha potenziate come “partito”, facendo perdere quel contenuto culturale che negli anni 80 pur hanno avuto per individuare il nuovo ruolo del giudice in una società diversa e complessa.
Questo era l’approfondimento che la magistratura nel suo complesso avrebbe dovuto operare per individuare una funzione nuova che nel 1946- 48 i Costituenti non potevano anticipare. Un giurista come Mastursi, mai dimenticato negli anni 70, individuava il giudice non più “bocca della legge”, e non più “sottoposto alla legge”, ma un giudice “di fronte alla legge”. Bisogna ancora sviluppare quella provocazione che aveva contenuto culturale e avveniristico ma la magistratura in tutti questi anni si è chiusa in se stessa, ha contemplato il suo nuovo potere e ha fatto prevalente il “carattere“politico, ha inquinato il suo ruolo e le sue stesse prerogative.
Sul CSM si sono scaricate tutte le tensioni, le lottizzazioni le ansie di potere, e di conseguenza il riferimento per garantire le correnti attraverso i responsabili dell’azione penale che appunto sono la prima espressione del potere.
Pensare di ridare prestigio alla giustizia attraverso modifiche dei criteri di elezione per il CSM attraverso il sorteggio come da più parti viene suggerito è miope e puerile: assale a questo punto un avvilimento perché vuol dire che non è chiaro il significato che la Costituzione dà a questo istituto che in questo caso sarebbe davvero declassato e mortificato. Il procuratore Spataro intervenendo sull’argomento ha messo in evidenza la discrezionalità delle scelte del CSM che dovranno essere ancora più discrezionali e non declassate ma con criteri trasparenti e condivisi. Il CSM deve essere soprattutto indipendente: perché l’autonomia è da acien regime!
C’è bisogno di uno scatto di orgoglio per riscoprire il prestigio del ruolo che in una democrazia il potere giudiziario ha e non farsi assalire da complessi di colpa che finiscono per aggravare la situazione.