«Bisognava trovare la forza perché di fronte a noi c'era il muro, nessuno cercava la verità. Per tutti c’era il “caso Marrazzo”. Dopo due mesi dall’uscita del libro possiamo dire che tutto è svanito. Siamo passati dalla vicenda dei carabinieri infedeli alla possibilità di ragionare su quelli che potevano essere stati i miei errori di opportunità, per non aver denunciato l’accaduto. Ma il “caso Marazzo” è finito e lo devo al coraggio delle mie tre figlie, Giulia Diletta e Chiara». Piero Marrazzo, giornalista Rai, conduttore di programmi di successo come “Mi manda Raitre”, presidente della Regione Lazio dal 2005 al 2009, pronto a proporre di nuovo la sua candidatura forte di un consenso superiore al 60%, viene travolto, a ottobre del 2009, da un processo mediatico che supera anche i confini nazionali. Ma lui è la vittima.

I carabinieri infedeli che lo ricattano, per averlo trovato in un appartamento con una donna transessuale sex worker, saranno condannati dopo molto anni, ma lui si dimette da governatore del Lazio. A distanza di 15, dopo un breve ritiro nell’Abbazia di Montecassino e un percorso psicoterapeutico scrive “Storia senza eroi” (Marsilio editore), un viaggio nel dolore, nella solitudine, nei misteri della sua famiglia. A partire dalla vicenda di suo fratello Riccardo Spina, nato negli Stati Uniti, dove ha vissuto la madre e che portava il cognome di lei. È l’enigma centrale del libro di Piero Marrazzo che, attraverso la vita personale e professionale di suo padre Joe, parla anche di patriarcato, Cia, Gladio, servizi segreti, Cosa nostra, boss della mafia italo-americana, camorra, Cutolo, sequestro Cirillo, Br, Pecorelli, Pazienza, Impastato, il massacro del Circeo, ma anche di De Gasperi.

Proprio le tue figlie con le loro parole sono andate dritte, non hanno fatto sconti né a te, né alla società. Cosa ha significato l’aver nascosto alla tua famiglia quello che ti stava accadendo?

L’errore più grande e imperdonabile è stato quello di non essere stato accanto a mia moglie e alle mie figlie, preparandole e difendendole dall'attacco mediatico. Ora, grazie a una campagna di comunicazione che sta accompagnando il libro, ci si interroga sul perché il giornalismo non abbia voluto prendere atto che le mie responsabilità politiche erano finite con le dimissioni, mentre quelle personali riguardano l'amore delle persone care.

Sei stato vittima di un processo mediatico che ha utilizzato la sessualità per colpirti: una sorta di “mascaramiento” tipico del sistema mafioso. Hai avuto questa sensazione?

Ho avuto la percezione, nel corso del tempo, sempre più forte che avessero scelto uno strumento dal quale non ci si può difendere. Nel mio caso non si è trattato di un errore giudiziario, la questione non esisteva proprio: io ero la vittima. Non posso criticare i giudici o l’Arma dei carabinieri. Nei miei confronti, invece, c'è stato un combinato disposto basato sulla sessualità tra sistema dei media, politica e società perbenista. Non a caso parlo di società perbenista, perché quando camminavo tra le persone normali sentivo affetto, stima. Allora, come dicono le mie figlie, la domanda è: papà tu sei un maschio, eterosessuale, bianco e privilegiato, sia sotto il profilo economico, degli affetti, ma anche della cultura, e del lavoro, ma gli altri?

Chi sono gli altri?

Nella società ci sono persone deboli come le donne, spesso uccise da un maschio che ritiene di avere un potere derivante dalla sessualità, che vuole rubare la mente e il corpo fino a ucciderle se quella persona rivendica la sua personalità. E ancora ragazze a cui viene rubata l'intimità con il revenge porn. Nessuno ha mai voluto parlare di questo, oggi la cosa bella è che grazie a questo mio libro, al di là di quello che noi potessimo pensare, si è aperto un dibattito sulla sessualità. Si è capito che averlo fatto contro di me era solo stato clamoroso, ma in realtà la gravità è nei confronti dei soggetti deboli.

Un signore, a una delle presentazione del tuo libro, ti ha emozionato dicendoti «ho vissuto anch'io una storia come quella di tuo fratello, mi dai il coraggio per dirlo in pubblico». Hai trovate altre storie simili in questi due mesi?

È stato un episodio per adesso unico. Ha avuto il coraggio, cioè ha sentito anche lui una spinta simile a quella che ho avuto io, evidentemente forse meno difficile, per certi versi meno drammatica, però è stato comunque un episodio importante.

Nel colloquio con la psicoterapeuta ti dice che devi cercare il coraggio dentro di te. Il coraggio simile a quello di tuo padre Joe, delle tue figlie, o è un coraggio diverso?

Tutti gli psicanalisti forniscono degli strumenti. Per quanto mi riguardava dovevo cercare di non perdere la serenità, che l'attacco mediatico aveva creato in me, e dovevo, invece, trovare l'equilibrio con me stesso e con le persone che amavo. Le mie figlie sono state le più forti e mi hanno dato il coraggio per raccontare una storia e, prima ancora, per dire basta a questa operazione dei media di voler mistificare la verità. Il coraggio di dire che ero vittima, mai stato né indagato né tanto meno imputato in un processo, fatto invece a dei carabinieri infedeli, riconosciuti colpevoli e condannati. E anche l’orgoglio di rivendicare che da presidente della Regione, Commissario alla sanità e ai rifiuti, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia per corruzione, concussione, peculato, appropriazione in debita di denaro pubblico.

Infatti tu eri anche un uomo delle istituzioni.

Esatto. E su questo c'è da riflettere, perché il mio è stato uno dei primi casi di macchina del fango, contro la quale, credimi, c'è voluto il coraggio di tre giovani donne che hanno messo in piedi una struttura familiare per rispondere a tutto questo. E hanno detto adesso basta! La fortuna è che io sono stato sempre inattaccabile sia sul piano politico sia su quello professionale.

Oggi le cose, finalmente, sono cambiate?

Sì, perché c'è un libro e c'è una campagna di comunicazione che permette di dire no, adesso tu non puoi, anche se sei un hater o un giornalista, diffondere certe notizie. Addirittura si è sostenuto che fossi collegato a delle morti sospette di persone che avrebbero avuto a che fare con la mia vicenda. Mi inchino e ho il massimo rispetto di fronte alla morte di una donna transessuale o di un malvivente, ma come è possibile che nella narrazione venissero legate a me, quando io, invece, era la vittima di un ricatto e loro facevano parte di quel mondo di carabinieri infedeli? Adesso è venuto giù il muro di un'informazione che ha preso atto di cose che però erano lì dai primi giorni di novembre del 2009. Era talmente chiaro all'epoca, ma mi è costato un esilio politico e meno male che ero un giornalista della Rai, altrimenti non avrei mai più lavorato.

Come mai eri cliente di donna transessuale sex worker?

Ricercavo delle solitudini, tentavo di scoprire un mio io, che era forse qualcosa di più di un semplice rapporto sessuale.

Una delle parole chiave del libro è enigma, che ritorna in molti passaggi quando, sia tu sia le tue figlie, parlate di tua madre. L'enigma praticamente è una porta che dovevate aprire in qualche modo, e il passaporto americano è diventata la chiave per aprire tante porte.

Assolutamente. Direi quasi che il destino ha voluto che io decidessi di cercare quel passaporto che mi ha permesso di sciogliere questo segreto, chiamato enigma dalla psicanalista. Enigma perché hanno cancellato proprio la presenza fisica della memoria storica del padre di mio fratello Riccardo. L’uomo fu condannato per la sua omosessualità e fu tolto anche il suo cognome al figlio. Ma in realtà hanno cancellato a mio fratello la possibilità di provare sentimenti, da quello paterno a quello filiale. Tutto questo fa sì che l'enigma ora sia sciolto ed è un simbolo di quello che le famiglie non devono compiere, ma spesso compiono. La mia lo ha fatto in un modo abnorme, con l'imposizione del silenzio, che poi è diventato un metodo, tant'è che il libro è il ribaltamento: io uso il metodo della verità, della trasparenza che mi porto nella stanza della psicanalista. E lo faccio quando racconto come un uomo, mio padre Joe, può essere posto di fronte a un bivio: quel pranzo con il boss della mafia italo-americana Joe Bonanno, immortalato in una foto, al quale il suocero lo fa partecipare a Palermo nel 1957. Quell’episodio sarà fondamentale per le scelte coraggiose di mio padre. In questo libro si racconta una saga di famiglia che incontra la grande storia, però affronta anche i percorsi di ogni famiglia.

Il libro ti è servito in questo percorso di psicoterapia?

Si dice che si scrive per sentirsi meglio, in realtà ora so che sono andato con le mie figlie a far saltare il muro di silenzi e direi di vera e propria omissione da parte del mondo della stampa, ma anche della politica e della società.

Ti senti risarcito oggi?

Ma non l'ho fatto con questo spirito, sono troppo esperto per credere che questo risarcimento sarebbe potuto avvenire. Mi sento finalmente sereno con le mie figlie, insieme a loro abbiamo rimesso la chiesa al centro del paese. Ora sta succedendo qualcosa di meraviglioso, si erano dimenticati che avevo contribuito a fondare un partito, ora mi invitano alle sezioni Pd, e non venivo più chiamato a esprimere le mie opinioni nelle trasmissioni tv.

Oggi vieni chiamato dalla base del partito o dai vertici?

Dalla base, però devo dire che ho presentato il libro con Pierluigi Bersani, Antonio Bassolino e Nicky Vendola. Non mi interessa il rapporto con i leader, ma mi fa piacere ritrovare la mia agibilità con le donne e gli uomini con le quali ho mantenuto dei rapporti. Ecco adesso si è liberi perché non c’è nessuno che può più usare forme di pregiudizio etiche: io nei confronti della politica e nel giornalismo non devo rispondere di nulla.

Sei iscritto al Pd?

No, anche se sono vicino, è evidente, l’ho fondato insieme ad altri. C'è una segretaria secondo me coraggiosa che saprà portare ancora avanti il partito. Magari un giorno mi piacerebbe parlare con Elly Schlein, storicamente di quello che accadde a ottobre-novembre del 2009.

Non ti ha mai contattato?

No, ci siamo mandati dei saluti tramite alcuni amici comuni.

Che rapporti hai con le comunità LGBTQIA+?

Ottima, devo dire che ho molti amici, amiche, compagni con i quali, anche lì da eterosessuale, finalmente si è affrontata una questione che la società perbenista non voleva affrontare.

Cosa ha significato per te tuo fratello Riccardo, purtroppo scomparso a settembre?

Un fratello, con tutte le lettere maiuscole. Ha rappresentato lo specchio della nostra incapacità familiare di affrontare con animo aperto le questioni sentimentali, intime che tenevamo chiuse in un crogiolo, perché il metodo del silenzio aveva fatto di noi persone che non riuscivano a parlare di tutto questo.