«L’attenzione degli avvocati italiani per il rispetto dei diritti umani e dei principi dello Stato di diritto è stata sempre molto alta, tuttavia negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che occorre una vera propria mobilitazione, in un’epoca in cui la repressione del dissenso ad opera dei regimi autoritari e le guerre in corso, che stanno producendo inauditi massacri di civili, hanno drammaticamente dimostrato che nessun diritto e nessuna libertà possono essere dati per acquisiti per sempre». A sottolinearlo è Leonardo Arnau, coordinatore della Commissione Diritti umani e protezione internazionale del Consiglio nazionale forense. Che puntando il faro sulla sistematica violazione dei diritti in Iran, ricorda che vigilare sulla tenuta democratica di un Paese è un’azione costante e necessaria, in ogni angolo del mondo. Laddove le donne, gli attivisti e gli avvocati - colpiti nell’esercizio della propria funzione - sono il primo bersaglio della repressione. L’ultimo “segnale”, a Teheran, risale a venerdì scorso. Quando la polizia è piombata nell’appartamento di Reza Khandan, marito dell’avvocata e attivista Nasrin Sotoudeh, per trascinarlo in prigione. Proprio nel giorno in cui era prevista l’entrata in vigore di una nuova stretta sul velo, la cui promulgazione è stata al momento sospesa dal presidente iraniano Masoud Pezeshkian.

Persecuzione giudiziaria, accuse fasulle, pugno duro sul velo. Il regime iraniano dichiara “guerra” alle donne?

Il regime iraniano, purtroppo, attraverso la strumentalizzazione dell’obbligo di portare il velo, porta avanti una violenta e inaccettabile persecuzione delle donne da moltissimi anni, che si traduce in inaudite forme di discriminazione. La “punizione” dei membri della famiglia dell’avvocata Nasrin Soutodeh, cui il Cnf lo scorso anno ha attribuito il premio dell’Avvocatura italiano per il suo impegno per i diritti umani e contro l’obbligo del velo, per il quale sta pagando un prezzo altissimo, è una prassi ricorrente.

Reza Khandan, marito di Nasrin, era stato arrestato nel settembre 2018 e accusato di “diffusione di propaganda contro il sistema” e “collusione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale”, per aver protestato contro la legge sull’hijab obbligatorio, distribuendo spille con la scritta: “Mi oppongo all’hijab obbligatorio”. Rilasciato su cauzione nel dicembre 2018, successivamente, nel gennaio 2019, è stato condannato a sei anni di reclusione, insieme a un altro attivista. Il 13 febbraio dello scorso anno era stato convocato in carcere per l’esecuzione della sentenza e venne poi rilasciato dopo una grande mobilitazione dell’avvocatura internazionale che, attraverso la coalizione Endangered lawyer, di cui il Cnf fa parte, aveva chiesto l’intervento dei due relatori speciali dell’Onu per i diritti umani e l’indipendenza di giudici e avvocati, del Parlamento e della Commissione dell’Unione europea, del Consiglio d’Europa. Lo stesso abbiamo fatto in questa occasione e speriamo che la mobilitazione sia ancora più grande.

Della violazione sistematica dei diritti delle donne in Iran si è parlato a lungo nel webinar organizzato dal Cnf e dalla Ssa (Scuola superiore dell’Avvocatura), in occasione del 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani, con la partecipazione di quasi mille avvocati: una risposta simbolica alla repressione degli ayatollah?

L’attenzione degli avvocati italiani per il rispetto dei diritti umani e dei principi dello Stato di diritto è stata sempre molto alta, tuttavia negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che occorre una vera propria mobilitazione, in un’epoca in cui la repressione del dissenso ad opera dei regimi autoritari e le guerre in corso, che stanno producendo inauditi massacri di civili, hanno drammaticamente dimostrato che nessun diritto e nessuna libertà possono essere dati per acquisiti per sempre. Anche in Italia, purtroppo, sia pure in un contesto assai diverso, si moltiplicano gli episodi di violenza e minacce contro colleghi che adempiono il proprio dovere sia in sede penale, dove anche all’imputato del peggiore dei delitti deve essere assicurato un giusto processo, che in sede civile dove, specialmente nell’ambito di contenziosi legati al diritto di famiglia oppure alle amministrazioni di sostegno, non mancano gravi episodi di aggressioni e minacce che, in realtà, finiscono per rendere più indifesi tutti i cittadini.

Nel 2024 la Giornata degli avvocati in pericolo, che ricorre il 24 gennaio, è stata dedicata proprio all’Iran. Mentre nel 2025 il focus sarà sulla Bielorussa. Qual è stato l’impegno del Cnf e dell’avvocatura istituzionale nell’ultimo anno?

Un impegno a tutto campo, non solo in favore degli avvocati iraniani arrestati, almeno 66, e perseguitati a seguito della violenta repressione delle manifestazioni svoltesi nel Paese nei mesi successivi alla morte di Masha Amini, la ventiduenne ragazza curda morta a seguito delle torture subite dalla “polizia morale”, che l’aveva arrestata il 13 settembre 2022.

Il Cnf, anche attraverso l’azione svolta in seno all’Osservatorio degli avvocati in pericolo (Oiad), di cui è cofondatore, e agli Ordini forensi europei (CCBE), svolge una costante attività di denuncia delle violazioni dei diritti fondamentali, in un numero purtroppo sempre più elevato di Paesi. Questo è possibile grazie all’impegno degli osservatori internazionali dei processi a carico degli avvocati identificati con i loro clienti, i cui rapporti costituiscono un’insostituibile fonte di notizie. Inoltre l’Osservatorio svolge azioni concrete di sostegno agli avvocati costretti a lasciare i loro Paesi di origine e a chiedere asilo politico in Europa.

Nel corso del webinar si è parlato anche dell’impossibilità, per le persone arrestate, di scegliere un difensore. Il regime ha paura degli avvocati?

L’articolo 48 del codice di procedura penale iraniano, in caso di crimini contro la sicurezza interna o esterna, obbliga a rivolgersi unicamente agli avvocati inseriti in una lista approvata dal capo della magistratura. È evidente che si impedisce agli avvocati di svolgere il proprio ruolo per reprime ogni forma di dissenso.

Il sistema giuridico iraniano si basa sulla Sharia. Che ne è del diritto in una teocrazia?

L’Iran ha una storia di civiltà millenaria, oggi messa in crisi dal venir meno del principio della laicità dello Stato, sul quale si basano le nostre democrazie, che tutelano la libertà di culto nei confronti di tutti i credi religiosi. Tuttavia, questo non è sufficiente, occorre evitare sia di condannare le singole religioni le quali se non strumentalizzate meritano tutte rispetto, sia l’affermarsi di forze politiche che le utilizzano per alimentare odio e discriminazione.