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«Un’invasività intollerabile, che lede il diritto di difesa dei cittadini e di cui la classe forense è stanca». Con queste parole il presidente della Camera Penale di Roma, Cesare Placanica, ha commentato la notizia dell’intercettazione e trascrizione delle conversazioni telefoniche tra l’avvocato Francesco Mazza e il suo assistito. «E’ scandaloso anche che il collega lo abbia scoperto perchè, in seguito a una richiesta di copia degli atti, ha trovato l’informativa finale della polizia giudiziaria in cui non solo si sintetizzava il colloquio tra lui e il cliente, ma anche i commenti di chi ascoltava, come il fatto che l’imputato sembrasse preoccupato» .
Presidente, perché è così grave l’intercettazione di un avvocato?
Anzitutto è una palese violazione dell’articolo 103 del codice di procedura penale, che dispone che i colloqui tra difensore e indagato non solo non siano utilizzabili, ma non possano nemmeno essere intercettati. Si tratta di un principio posto a garanzia del cittadino, il quale deve essere sicuro di poter parlare liberamente con il proprio avvocato, dicendo cose in più, cose in meno, esagerando o minimizzando, ma sempre sapendo di non essere ascoltato.
Soprattutto se nella telefonata concorda la propria strategia difensiva.
Esatto, proprio come è successo nel caso dell’intercettazione in questione. Per questo la garanzia del divieto di intercettazione è a tutela del diritto di difesa del cittadino. Gli indagati hanno il diritto di poter parlare con il proprio difensore senza che da questi colloqui possano derivare svantaggi, come il fatto che gli inquirenti siano al corrente della linea difensiva. Si tratta di principi minimi di civiltà.
Come è stato possibile, quindi?
Posso solo commentare l’estrema gravità del fatto e soprattutto che è stata violata anche la circolare del presidente Pignatone, che pure noi avevamo criticato definendola eccessivamente timida.
Eppure nemmeno quella è stata rispettata...
La circolare disponeva ovviamente il divieto di sintetizzare i colloqui, che in caso di dubbi la polizia giudiziaria interloquisse con il pm - come in questo caso non è stato sicuramente fatto - e raccomandava al pm di non mettere mai agli atti le sintesi dei colloqui, ove fossero fuggiti al divieto di ascolto. Evidentemente aveva individuato un problema esistente.
Queste intercettazioni avvengono più frequentemente di quanto non si sappia?
Diciamo che se è servita una circolare, significa che il fenomeno esiste e che disposizioni cogenti vengono clamorosamente violate in sede di indagine. E’ evidente che il problema esiste e se lo è posto anche la magistratura, anche perché la circolare Pignatone è stata ripresa da tutte le procure italiane.
Qualche magistrato è intervenuto sul caso dell’avvocato Mazza?
A noi non risulta. Sarebbe auspicabile, però, che la magistratura prendesse posizione su questo e che lo facessero anche tutte le correnti: parlerebbero di diritti e si allontanerebbero dal triste dibattito corrente sugli scandali del Csm.
Come penalisti, come avete reagito?
Come classe forense siamo stanchi di vedere trascritte le nostre conversazioni con i clienti, in spregio alla legge e in piena violazione del diritto di difesa. Andremo a fondo di questo caso e come Camera Penale di Roma abbiamo deliberato di inviare un esposto al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, al procuratore della Repubblica e al Csm, perché valutino di chi sia la responsabilità. Inoltre, non escludiamo iniziative più incisive, come lo stato di agitazione o l’astensione. Anche perché il timore è forte.
Quale timore?
Che queste violazioni possano essere sintomatiche di una volontà di gestione autoritaria e antidemocratica della giustizia.
A differenza delle intercettazioni, i Trojan captano tutto. Come si salvaguarda il diritto alla segretezza nelle comunicazioni con l’avvocato?
Le nuove tecnologie complicano molto. Anche perché il punto è delicato: la norma sulle comunicazioni con l’avvocato non preserva l’inutilizzabilità della conversazione, ma la sua segretezza. Si tratta di una differenza sostanziale: l’avvocato che parla col cliente è inintercettabile e la sanzione nel caso in cui accada è che si distruggano le bobine. Con il Trojan come si fa?
Lo chiedo a lei.
Guardi, io considero il Trojan uno strumento da stato illiberale, perché viola non solo la riservatezza ma il senso del pudore. Le faccio un esempio: con le intercettazioni ambientali è previsto che il luogo di privata dimora non venga violato, se non nel caso in cui lì sia in atto una attività criminale. Con il Trojan il distinguo è impossibile: le microspie in camera da letto non vengono messe se non in casi eccezionali, il Trojan ce lo porta l’indagato, per il solo fatto che appoggia il cellulare sul comodino.
Eppure, l’opinione pubblica ormai si sente in diritto di sapere ogni cosa intercettata.
Sono allibito dalle dichiarazioni del ministro Bonafede su questo tema. Lui dice: “Si pubblichi tutto”. E’ di un analfabetismo giuridico pazzesco: si deve pubblicare solo ciò che è penalmente rilevante, non quello che è politicamente rilevante. Altrimenti torneremmo alla Stasi. Seguendo il filo del ragionamento di Bonafede, poi, sorprende come l’unico mezzo che permetteva di ascoltare tutti i processi senza mediazioni, ovvero Radio Radicale, sia stato invece avversato.