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Sarebbe bene approfondire la vicenda Autostrade con distacco e serietà, non con toni da propaganda elettorale. Purtroppo, invece, ciascun esponente politico pensa al proprio elettorato, alla propria immagine e all’ “effetto annuncio” che per definizione è effimero e volatile. Soprattutto quando restano i problemi veri, spesso nascosti sotto il tappeto.
Mi possono stare antipatici i Benetton, ma l’economia non marcia con simpatie ed antipatie ed è assurdo dipingere Atlantia come il diavolo ( a Genova) salvo poi applaudirla ( per gestire Fiumicino) o addirittura chiamarla al capezzale di Alitalia cui – complice la pandemia da Coronavirus – è stato più o meno silenziosamente assegnato un ricchissimo boccone di aiuti di Stato, alla faccia della libera concorrenza e delle norme comunitarie.
Il compromesso di metà luglio sulle autostrade è stato venduto dalle diverse parti politiche al governo come una propria “vittoria”, anche se i presunti vittoriosi rispondevano a diverse ( ed opposte) logiche all’interno dello stesso esecutivo Conte: è evidente che ci sia stato qualcuno che ha fatto il furbo.
Il mercato – vero arbitro della situazione – dopo un crollo delle azioni Atlantia del 15% ha segnato un immediato rimbalzo del 26,6% del titolo, segno che non hanno “vinto” il pubblico e il rigore, ma caso mai che - all’opposto - il mercato e i soci Atlantia si sentono ora un po' più tranquilli dopo l’accordo raggiunto.
Sostenere - come è stato fatto dalle parti grilline - “abbiamo estromesso i Benetton dalla gestione di un bene che ora ritorna agli italiani” è vaniloquio, anche perché in Autostrade lavorano migliaia di persone e tra i soci ci sono già importanti quote pubbliche, nazionali e a livello europeo. Se da Atlantia usciranno i Benetton, chi ci entrerà ( privati e Cassa Depositi e Prestiti) dovranno comunque avere prospettive economiche interessanti, visto che CDP amministra i risparmi postali di milioni di italiani.
La “Cassa” è un soggetto privato, gestisce risorse private e dovrebbe essere un saggio investitore di lungo periodo.
Dopo essere entrata in We Build, ex Salini Impregilo, ora è alla prova più impegnativa di Autostrade di cui probabilmente sarà il principale azionista in una nazionalizzazione di fatto, ma non può aprire ( o coprire) l’ennesima emorragia, anche perché la stessa CDP è esposta – secondo fonti di stampa - per 3,18 miliardi nei confronti del gruppo Atlantia ( 2,05 verso Autostrade), di cui 1,88 erogati. Il credito potrebbe essere trasformato in azioni? Può essere. Sta di fatto che qualsiasi investimento è legato alla redditività e – tornando alle autostrade – il rischio è che ci si trovi davanti ad una crescente ed imponente necessità di manutenzioni per adeguare una rete ormai vecchiotta con molti dubbi, quindi, circa la sbandierata riduzione dei pedaggi.
Una volta ancora si torna al punto di partenza, ovvero al sistema opaco con cui sono state concesse in gestione le autostrade italiane ( non solo alla società Autostrade), in cambio di cosa e con quali ( insufficienti) controlli.
L’impressione è infatti che nei decenni si sia sempre giocato ad un tavolo truccato: da una parte società concessionarie esperte e rapaci, dall’altra un “pubblico” tecnicamente poco competente, superficialmente distratto, più attento a logiche di partito e di potere quando non addirittura cointeressato a generose regalie dirette ed indirette.
Rinnovi sottoscritti contro ogni logica imprenditoriale e di un trasparente interesse pubblico sono state all’ordine del giorno da sempre, ed invano sono stati richiesti negli anni chiarimenti parlamentari ( anche da scrive) tutti finiti nel grigio di tarde risposte di facciata. Purtroppo il settore dei trasporti è da sempre un punto debole del nostro Paese con l’interesse pubblico, nel dopoguerra, volto tutto a puntare tutto sul traffico su gomma e facendo così fare a chi man mano metteva le mani sulla costruenda rete autostradale degli affari clamorosi ed irripetibili. Mezzo secolo dopo, il ritorno in mano parastatale di parte della rete assume così quasi il sapore della beffa. Il tempo dirà chi ha vinto in questa vicenda spacciata ora come un vittorioso “ritorno al pubblico” per una ricchezza nazionale spolpata da decenni, ormai obsoleta e logorata.
Alla fine forse i Benetton non sono stati molto scontenti di passare la mano…