Gaetano Quagliariello, oggi professore di Storia contemporanea alla LUISS ma profondo conoscitore delle dinamiche parlamentari e delle dinamiche interne al centrodestra, commenta l’approvazione di premierato e Autonomia, spiegando che nel primo caso «premesso che la Costituzione si cambia insieme, sarebbe interesse di entrambe le parti riattivare un dialogo» mentre sulla seconda questione mette in evidenza «dei limiti che una maggiore riflessione avrebbe potuto rimuovere».

Professor Quagliariello, il premierato è stato approvato in prima lettura in Senato, ma il dialogo tra maggioranza e opposizione è ai minimi termini. Che ne pensa?

Penso che sia un paradosso. Se si guarda al risultato delle ultime europee il un quadro è quello di un rinascente bipolarismo: sia a destra che a sinistra c’è un partito decisamente più forte degli altri, mentre il centro si è suicidato. Per questo motivo, premesso che la Costituzione si cambia insieme, sarebbe interesse di entrambe le parti riattivare un dialogo. E chi non si vuole semplicemente fermare a constatare quel che accade, deve provare a sollecitare questo dialogo. Da una parte è insensato che l’opposizione gridi al regime, per una riforma la cui esigenza è lapalissiana e iscritta nella storia del paese; dall’altra parte la maggioranza deve ribadire la sua disponibilità a continuare a migliorare il testo.

Dunque reputa il testo già migliorato rispetto all’inizio?

Rispetto alla partenza il testo è giunto in Aula migliorato. I miglioramenti ci sono stati soprattutto per quel che concerne la disciplina delle crisi, il ricorso alle elezioni anticipate, cioè il cosiddetto potere di scioglimento, e il limite di mandati. Io credo che questi miglioramenti siano importanti ma non siano sufficienti, perché rimangono ancora altri aspetti da chiarire. Fondamentalmente, la riforma non stabilisce qual è la soglia necessaria da raggiungere affinché il premier venga eletto e non chiarisce cosa accadrebbe nel caso in cui questa soglia venga superata. In altri termini: manca una norma di chiusura. E poi manca la legge elettorale. Come ci spiegano i classici di storia istituzionale, ad esempio il Maranini, la legge elettorale va ritenuto il complemento necessario di una riforma dell’esecutivo, soprattutto nel caso in cui si intende eleggere direttamente il premier.

La ministra Casellati dice che la legge elettorale arriverà in autunno: comunque troppo tardi?

Penso che alcuni di questi nodi debbano ricevere una loro soluzione nel testo costituzionale e, comunque, per un dibattito sereno il testo costituzionale e la legge elettorale devono essere conosciuti e valutati assieme. È importante che quando la legge arriverà vi sia la disponibilità a rivedere il testo alla luce del combinato disposto tra riforma della costituzione e nuova legge elettorale.

Quale legge?

Credo che l’elezione del premier sarebbe bene avvenga con la maggioranza assoluta e che nel caso questa non venga raggiunga sia previsto il ballottaggio.

Di pari passo con il premierato è andata la riforma dell’Autonomia: crede anche lei che finirò per aumentare il divario tra nord e sud, come grida l’opposizione?

Innanzitutto diciamo una cosa: questa è una riforma di attuazione del titolo V, approvato dalla sinistra. Ma al di là di questa evidenza ritengo che la riforma abbia dei limiti che una maggiore riflessione avrebbe potuto rimuovere.

Quali?

Il primo è rappresentato dall’elenco delle materie: alcune di queste sono del tutto inattuali, ad esempio l’energia, visto che siamo in un contesto nel quale nemmeno l’ambito nazionale presenta una massa critica in grado di affrontare tale problema; il secondo è rappresentato dalla mancanza di una norma di prevalenza nazionale: cioè una norma che possa richiamare la materia a livello nazionale in casi di emergenza; il terzo e più importante, sul quale si potrebbe persino intervenire ora, è il fatto che se si vuole privilegiare la specialità di una regione, bisognerebbe mettere in evidenza quelle materie che per una regione sono veramente particolari e quindi limitare ad un numero ristretto di materie, a pochi ambiti, la specialità che una regione può richiedere. Altrimenti si rischia di trasformare una regione a statuto ordinario in una a statuto più che speciale, e questo chiaramente contrasta con la nostra costituzione.

L’approvazione del testo sta provocando malumori al Sud sia nella Lega che in Forza Italia: potrebbero esserci dei problemi in futuro?

Questa riforma è stata fortemente voluta dalla Lega, la quale nel frattempo ha cambiato pelle, perché da un partito fondamentalmente nordista è diventato un partito nazionale e di destra. Questa riforma cade nel mezzo di questa trasfor-mazione perché occhieggia ai motivi della vecchia Lega ma può non piacere ai nuovi leghisti, per capirci quelli che hanno visto positivamente l’arrivo del generale Vannacci. Bisognerà capire se la Lega sarà in grado di governare questa contraddizione, visto che per una Lega nazionale e di destra il valore dell’unità nazionale esiste, soprattutto al Sud. Per quanto riguarda Forza Italia penso sia normale dialettica, perché i governatori del Sud coprono uno spazio che nessuno copre. Fin qui dunque niente di strano, bisognerà capire quale sarà il punto di caduta.

Dopo le Europee e in vista delle prossime nomine ai vertici dell’Ue, qual è lo stato di salute del governo?

Lo stato di salute del governo è buono perché le Europee hanno dato più centralità alla posizione della presidente del Consiglio e hanno dato stabilità all’Italia. Siamo in una situazione anomala perché solitamente siamo noi i malati d’Europa, mentre oggi tra i grandi paesi siamo i più stabili, rispetto a Francia e Germania. Se tutto questo sarà poi convertito in influenza a livello europeo è tutto da vedere. Giorgia Meloni oggi ha l’esigenza di tenere insieme due cose: la sua identità e la sua influenza in Europa. Vedremo nei prossimi giorni se e come ci riuscirà.