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«L’omofobia è come un gioco di specchi» .Daniel Borrillo è annoverato, in Francia e non solo, tra gli inventori dei nuovi diritti. La forza straordinaria del suo pensiero nasce da una doppia radice, giuridica e antropologica: è innanzitutto un sociologo del diritto. Insegna all’università di Parigi- Nanterre, è ricercatore del “Cnr” d’Oltralpe e consigliere dell’Ue per le politiche pubbliche di uguaglianza. In più, conosce l’Italia per molti motivi: sia perché è un argentino di origini beneventane sia grazie alle conferenze che ha tenuto fino a pochi giorni fa nel nostro Paese.
È intervenuto in diversi atenei su sollecitazione dell’associazione “Avvocatura per i diritti Lgbti”, e in particolare di studiosi come Francesco Bilotta, avvocato e ricercatore dell’università di Udine. Oggi in Europa è difficile incrociare chi conosca meglio di Borrillo le dissonanze, rispetto alla tutela dei diritti legati alla sfera sessuale, fra quadro normativo e dibattito pubblico.
Ed è per questo che nessuno meglio di lui può indicare il termometro dei nuovi diritti alla vigilia della Giornata internazionale contro l'omofobia, che ricorre domani. Anche rispetto ai rischi legati al “gioco di specchi” fra propaganda e umori collettivi.
C’è una regressione, nella tutela delle minoranze sessuali, oggi in Europa?
Non sul piano strettamente giuridico. Assolutamente no. Nell’Unione europea esiste uno standard normativo ormai condiviso, e solido. Esiste però una tendenza nel linguaggio politico a sollecitare una parte dei cittadini ritenuta particolarmente conservatrice, quindi potenzialmente sensibile a un discorso con caratteri di discriminazione. Quei cittadini avvertono che ora il contesto consente di venire allo scoperto.
Ma questa omofobia improvvisamente sdoganata produce lesioni anche nei confronti dei singoli individui?
Le statistiche sembrerebbero dire questo. Ma è giusto interpretarle: se nei report aumentano le denunce di casi di discriminazione sessuale e di violenza, può voler dire che esiste un maggiore effettiva diffusione di tali reati, ma anche che c’è finalmente una minore ritrosia delle vittime nello sporgere denuncia. Il bicchiere può essere mezzo vuoto ma anche mezzo pieno. In ogni caso quel discorso politico di cui si è detto costituisce una forma di istigazione a discriminare. Oltre che sul piano del linguaggio, in Paesi come Polonia e Ungheria si assiste a anche una riduzione degli stanziamenti destinati alle politiche pubbliche in favore delle minoranze, sia di quelle sessuali che delle altre.
Allora l’allarme sulla regressione non è infondato.
Vede, se un partito propone una riduzione dei diritti, restituisce la parola alle componenti più conservatrici della società, come detto. Ma è anche vero che quei partiti, quelle forze politiche, non vengono dalla luna: evidentemente sono la proiezione di qualcosa che in parte già esiste. La cosa grave è che viene tradito un principio radicato in tutti i trattati e innanzitutto nella Convenzione europea dei Diritti dell’uomo: lo Stato deve affermare e tutelare i diritti anche in termini di pedagogia sociale. Nei confronti della Polonia, in passato, è stata la Ue a svolgere tale funzione dissuasiva, per esempio sui rischi di esclusione dall’insegnamento per i professori di orientamento omosessuale. Naturalmente le tendenze politiche di cui parlo partono da un paradigma che va anche decodificato.
In che modo?
Parliamo di forze politiche che muovono una forte critica al sistema della democrazia liberale. In particolare, il nucleo centrale di tale critica riguarda l’asserito debordare della dimensione dell’individuo: e in effetti l’alternativa proposta è quella di uno spostamento dell’equilibrio dall’individuo alla comunità. Così tali forze politiche ritengono che anche i diritti vadano ripensati in modo da dare priorità alla dimensione collettiva. È da qui che si parte per imporre il rafforzamento dei diritti della cosiddetta famiglia naturale.
La cosiddetta cellula sociale primaria.
Sì, ma tutta l’analisi è viziata da un equivoco. Che vale anche per l’Italia.
Di cosa si tratta?
Nel vostro Paese ad esempio la dichiarata volontà di tutelare la famiglia naturale viene riferita alla citazione della famiglia nella Costituzione. Solo che la Costituzione italiana non intende l’attributo “naturale” nel senso di “costituita da coppia eterosessuale”. Semplicemente indica, nella famiglia, la formazione sociale primaria, appunto. L’altra accezione sconfina evidentemente dal diritto civile al diritto canonico.
E anche questa linea di pensiero può produrre conseguenze pratiche negative?
È molto grave che tali analisi comincino a diffondersi in diverse facoltà di Diritto. Filoni del genere, fino a poco tempo addietro, non avevano né spazio né legittimità.
Lei viceversa ha dedicato molti studi alla necessità di “desessualizzare il diritto”, anche nel suo ultimo lavoro su “La famille par contrat”. In cosa consiste tale paradigma?
Il soggetto di diritti è una convenzione, non un’entità che viene data in termini naturali. In tale individuazione convenzionale è ormai superata ogni dimensione sessuale. Vuol dire che a questo punto il soggetto di diritti non ha un genere, dal momento che sono venuti meno alcuni fattori responsabili di una precedente diversa interpretazione.
Si riferisce al riconoscimento dei nuovi diritti?
Mi riferisco ad alcuni fatti oggettivi che sono il presupposto di un diritto desessualizzato. Due esempi: la possibilità della “gestazione per altri” e dell’abbandono del figlio dopo la nascita. Se una donna può condurre una gravidanza per un’altra donna, e se può avere un figlio e poi abbandonarlo, vuol dire che la maternità come caratteristica biologica del genere femminile non determina più una distinzione nel diritto. Non vedo quale sia la pertinenza della dimensione sessuale rispetto all’individuo come soggetto di diritti.
In Italia sia gli avvocati che il Partito radicale conducono le lotte per i diritti anche attraverso il cosiddetto contenzioso strategico, ossia l’attivazione di procedimenti giudiziari finalizzati al riconoscimento di diritti non regolati dal legislatore: l’eco di tali iniziative arriva anche in Francia?
Da noi è uno strumento assai meno utilizzato. E non è difficile spiegarne la ragione: nella materia dei diritti civili il legislatore francese è molto più disponibile a introdurre nuovi riconoscimenti. Il legislatore italiano è assai meno ricettivo ed è così che il contenzioso strategico da voi è diventato molto importante. C’è una perfetta simmetria, nel senso che la giurisprudenza italiana è per converso più garantista di quella francese. In Italia l’arena della giurisdizione è importantissima nelle lotte per i diritti: i giudici, e la Cassazione in particolare, arrivano dove spesso non arriva il Parlamento.