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Il caso dei presunti dossieraggi, riguardanti esponenti politici, dello sport e dello spettacolo, accende i riflettori sul tema degli accessi alle banche dati. «Il problema vero – dice al Dubbio il professor Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato nell’Università di Salerno - riguarda la possibilità che ci siano accessi illegittimi. Ci vorrebbe una centralizzazione delle chiavi di accesso in mano a un soggetto che se ne assuma la responsabilità».
Professor Sica, gli accessi abusivi ad alcune banche dati offrono l’occasione per approfondire il tema di come si entra in possesso di certi dati e del loro trattamento. Qual è il suo parere?
La protezione dei dati nelle banche pubbliche deve indurci ad una riflessione attenta. Prima di tutto, ritengo utile soffermarmi su un aspetto della vicenda che sta tenendo banco in questi giorni. La scoperta di alcuni fenomeni di acquisizione di dati protetti deriva dalla presenza di sistemi di alert e di verifica. Infatti, se tali sistemi non esistessero, non avremmo neppure saputo, rispetto ai vecchi archivi cartacei, cosa è avvenuto. Il tema di fondo, che dovrebbe sotto certi versi rassicurarci, è che ogni accesso alle banche dati è sempre tracciato. In altre parole, quanto sta venendo fuori non deve giustificare la preoccupazione dei cittadini circa la conservazione dei propri dati informativi, che, probabilmente in Italia sono tra i meglio difesi al mondo. Il vero tema non è come i dati sono conservati, ma quello delle abilitazioni all’accesso. Per quanto è dato di capire ora siamo di fronte ad interrogazioni delle banche dati apparentemente legittime perché compiute da soggetti abilitati, ma prive di una giustificazione tra quelle previste dalla legge; e questo è inquietante. Dunque, il problema vero è un altro.
Quale?
Il problema vero riguarda la possibilità che ci siano accessi illegittimi. Ci vorrebbe, a mio parere, una centralizzazione delle chiavi di accesso in mano a un soggetto che se ne assuma la responsabilità. Si dovrebbe evitare che l’interrogazione della banca dati venga fatta individualmente. L’autorizzazione alla interrogazione pone questioni di approfondimento anche in capo ai diversi soggetti coinvolti. Una delle cose più interessanti della vicenda dei dossieraggi consiste nel capire se il o i soggetti coinvolti fossero titolari di un accesso diretto, a chi rispondono. Se davvero l’indagine in corso deve dirci qualcosa, essa deve rispondere alla domanda non soltanto sull’agente infedele che ha effettuato l’accesso, ma su chi e perché glielo ha richiesto. Non è credibile che egli agisse di suo.
Le banche dati possono in qualsiasi momento essere attaccate, considerato che custodiscono informazioni che hanno un valore. Sono protette adeguatamente dall’esterno contro chi vuole forzarle?
È la questione della cyber sicurezza. L’Italia deve essere abbastanza orgogliosa del lavoro che svolge su questo versante. Non dobbiamo però cullarci sulla imperforabilità delle banche dati. I soggetti che intendono accedervi illecitamente sono sempre in agguato. Ma, ripeto, stavolta il tema non è la perforabilità da intrusi delle banche dati, rispetto alla quale mi sentirei tranquillo in chiave di cyber sicurezza. Il nodo sono gli accessi; il loro fondamento giuridico non è la titolarità di una chiave di accesso, ma la giustificazione di legge dell’accesso. Più chiaramente, chi è entrato poteva farlo tecnicamente, ma non aveva la ragione giuridica per farlo. Rimane il fatto di come siano avvenute nelle vicende di cui stiamo parlando certe interrogazioni. Occorre anche evidenziare che le interrogazioni su commissioni sono illecite, se non previste da esigenze precise. Qualunque trattamento del dato deve avere una base giuridica. L’interrogazione della banca dati, nella vicenda dei presunti dossieraggi, da quanto ne sappiamo, non aveva alcun fondamento di legittimità. A tutela della democrazia abbiamo necessità di sapere chi, perché e su incarico di chi sono stati effettuati certi accessi. L’indagine dell’autorità giudiziaria è meritoria e spero che si vada fino in fono.
In questo contesto, si innesta il tema delle notizie che vengono reperite e il loro valore da un punto di vista giornalistico. Il giornalismo di inchiesta, invocato in questo caso, può davvero essere definito tale?
Questa brutta storia fa cadere il velo sul cosiddetto giornalismo di inchiesta. Per sapere di che si tratta occorre guardare altri Paesi, soprattutto gli Stati Uniti, con giornalisti investigatori e liberi: sono tali i giornalisti che pubblicano materiale acquisito illecitamente e lo pubblicano automaticamente? Nutro più di un dubbio. Il tema tuttavia rimanda all’assenza, per molta parte, in Italia, di una stampa che, come in altri Paesi, risponde soltanto a se stessa e non all’editore di turno che fa altre attività ed usa i media come strumento di selezione politica non disinteressata. Ogni volta che si affrontano questi temi viene fuori la religione della libertà di stampa che dovrebbe prevalere su tutto; ma i diritti dei cittadini e le garanzie democratiche ed istituzionali hanno maggior peso costituzionale e civile.
Da più parti si è parlato di attacco alla democrazia. Cosa ne pensa?
Se si dovesse scoprire che le interrogazioni delle banche dati sono state fatte fuori da una base giuridica, in maniera illegittima, con una funzione selettiva e di orientamento politico, non è scandaloso parlare di attacco alla democrazia. Spero che stavolta l’indagine vada fino in fondo e spezzi la catena scellerata tra certe parti politiche, giornalismo e magari pezzi di sistema giudiziario. Sarebbe un bel giorno per tutti e la magistratura dimostrerebbe, ed io, nonostante tutto continuo a crederlo, che è il vero baluardo delle istituzioni democratiche.