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«Si parla tanto di giustizia penale ma la giustizia amministrativa, se non la rivediamo e se le aziende non si danno anche comportamenti di autoregolamentazione secondo codici etici che impediscano di farsi concorrenza o inibire concorrenti attraverso continui ricorsi al Tar questo Paese andrà poco lontano». Le parole del governatore della Liguria, Giovanni Toti, sono un’accusa senza se e senza ma alla Giustizia amministrativa. Vissuta come ostacolo allo sviluppo del Paese e parte di quella burocrazia che lo azzopperebbe bloccando i lavori pubblici. Un’accusa pesante che Fabio Mattei, presidente dell’Anma, Associazione nazionale magistrati amministrativi, respinge al mittente: «È un’entrata a gamba tesa sulla funzione giudiziaria - dice al Dubbio -. Il vero problema sono le leggi di pessima qualità. E quelle sono colpa della politica». Presidente, ma è vero che sono i Tar a danneggiare le aziende? Queste parole si inseriscono in un solco di dichiarazioni da parte di esponenti politici di primo piano: ricordo Prodi, secondo cui il giudice amministrativo costava non so quanti punti di pil al Paese ogni anno, poi ci fu Renzi, il quale disse che avrebbe iniziato la sua campagna elettorale con lo slogan “no Tar tour”, poi siamo arrivati alle dichiarazioni di Franceschini dopo la questione relativa ai direttori dei musei. Notiamo da tempo un fastidio della politica - speriamo non tutta - nei confronti del lavoro dei giudici amministrativi, ma bisogna ricordare che dietro ogni ricorso c’è l’istanza di giustizia di un cittadino, di un’impresa, di un operatore economico che indubbiamente può essere destinatario di un’attività amministrativa illegittima. Dunque sono una tutela? I Tar svolgono una funzione di presidio di legalità sul territorio ed è un punto molto importante sul piano istituzionale. Se c’è la mala amministrazione, se ci sono le degenerazioni della burocrazia, che poi portano a fenomeni che alterano le gare pubbliche, il Tar, che è un’istituzione giudiziaria al pari di quella civile o penale, è per legge, secondo il nostro ordinamento, quella a cui il destinatario della cattiva amministrazione si può rivolgere. La politica non considera che dietro ogni ricorso c’è un’istanza di giustizia che il Tar valuta serenamente, applicando la norma, con una norma che spesso è alluvionale, contraddittoria, affastellata e poco chiara anche per gli operatori del diritto, molto spesso. E ciò vuol dire che la qualità del prodotto legislativo è pessima. Quindi anche nell’ambito di un’amministrazione totalmente virtuosa, il pubblico funzionario può avere difficoltà ad orientarsi, tanto che molte volte è la stessa amministrazione che aspetta che si faccia il ricorso al Tar per poi andare nella direzione decisa. Ci sono sicuramente dei funzionari non all’altezza, che fanno un enorme danno al Paese, perché non svolgono i procedimenti in modo spedito, in modo conforme alla legge, però è altrettanto vero che ci sono anche funzionari diligenti e preparati purtroppo non sono la gran parte, che svolgono in modo diametralmente opposto i procedimenti. Ma io credo che la politica non possa chiamarsi fuori da una responsabilità che riguarda la qualità delle norme, perché le norme le approva il Parlamento, senza dimenticare che molto spesso le amministrazioni sono lottizzate. Queste sono le degenerazioni che ricadono sì sui funzionari e sulla pubblica amministrazione ma hanno evidentemente degli autori e degli attori che, purtroppo, molte volte riscontriamo nel mondo politico. Se le norme sono scritte male, il pubblico dipendente che deve applicarle ha difficoltà e se le applica male è chiaro che va in corto circuito il sistema. Se la pubblica amministrazione adotta un atto illegittimo, il cittadino cosa deve fare? Vogliamo immaginare un modo senza tutela? Toti dice che non bisognerebbe fare tutti questi ricorsi al Tar. È un’invasione di campo della politica? È un’entrata a gamba tesa sulla funzione giudiziaria, sulla funzione ordinamentale attribuita al magistrato amministrativo, in questo caso, ma come per qualsiasi altro giudice è l’ordinamento che assegna al giudice la funzione di dirimere i conflitti, è la Costituzione. Noi negli articoli e nelle norme della Costituzione troviamo i principi cardine della giustizia amministrativa. Quindi anziché pensare di riformare la giustizia amministrativa bisognerebbe riformare il modo di confezionare le leggi e di scrivere le norme, nonché la pubblica amministrazione, che non sa nelle sue sacche di burocrazia, nel senso deteriore del termine, procedere e non sa agire in modo conforme alla legge. Poi parliamo anche di responsabilità della politica che molte volte entra nelle decisioni degli uffici e dei funzionari. Le figure apicali delle amministrazioni pubbliche le sceglie il politico. Si tirano spesso in ballo gli investitori esteri e la scarsa attrattività dell’Italia proprio per la sua lentezza in termini di Giustizia. Per il mercato e gli investitori esteri, sempre tanto invocati, una delle condizioni principali per entrare con le proprie energie nel nostro mercato, soprattutto in questi momenti di estrema difficoltà, è proprio la chiarezza delle regole. Un’amministrazione che agisce in modo illegittimo non attrae nessuno. Pensiamo quanti punti di pil costa un Parlamento quando approva delle leggi che hanno una qualità scadente e una burocrazia nel senso deteriore del termine. Vogliamo parlare di sperpero di denaro pubblico? Del Mose, dell’Expo, delle incompiute? C’è una statistica che spiega come le leggi malfatte blocchino lo sviluppo del Paese? Le posso dare un dato: credo che il codice degli appalti pubblici sia stato modificato, negli ultimi anni, 50-60 volte e questo già dà la misura di quel dato. I ricorsi in materia di appalto si svolgono con un rito super accelerato, vengono decisi in pochissimo tempo, con il rispetto del contraddittorio e questo è il fiore all’occhiello del processo amministrativo, la rapidità e la celerità nella risposta di giustizia. Le opere pubbliche incompiute non possono ascriversi alla responsabilità del giudice amministrativo. La Giustizia amministrativa è stata un caso a parte in questa fase, anche per lo spirito di collaborazione che c’è stato tra avvocatura e magistratura. E non si è mai fermata. E questo è stato un punto d’orgoglio per noi. Abbiamo sempre dato una risposta di giustizia anche da remoto, sia in maniera monocratica sia collegialmente. Ovviamente il processo telematico ci avvantaggia e il decreto legge 28 del 2020, all’articolo 4, prevede anche la presenza delle parti e la discussione da remoto. Ciò ci ha consentito di non interrompere il servizio giustizia, siamo stati al nostro posto e abbiamo sempre lavorato. Ma le udienze da remoto possono tornare utili anche per il futuro, in situazioni eccezionali? Noi auspichiamo, non appena ci saranno le condizioni, di tornare in tribunale e lavorare frontalmente con gli avvocati. Per noi è importante la presenza fisica, vogliamo tornare alla normalità e riteniamo che anche la dinamica visiva, facciale, di presenza offra un di più. Il tribunale è la nostra sede naturale e speriamo di tornare a fare udienza in aula con gli avvocati e con le parti. Per noi è fondamentale.