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A occhio e croce né Matteo Renzi né la ministra Maria Elena Boschi hanno scheletri nell’armadio. Renzi e Boschi sono stati sicuramente intercettati, forse pedinati, sono stati presi in cura da molti segugi, hanno avuto i fucili dei giornali puntati contro per mesi e anni, e non è uscito niente contro di loro. Con Berlusconi era più facile. Magari proprio un reato reato non si trovava, ma almeno una cena osè, un po’ di spavalderia nella condotta sessuale, qualche irregolarità fiscale da parte di aziende delle quali era azionista, beh tutto questo era materia sulla quale si poteva sguazzare. Si, vabbé, con pochi risultati in tribunale ( una sessantina tra assoluzioni e prescrizioni e una sola condanna striminzita e anche piuttosto fantasiosa). Ma quel che contava non era il tribunale: erano le prime pagine. È aperta la caccia ai papà ultima frontiera del giustizialismo
Col partito democratico di Renzi più o meno è la stessa cosa. Però c’è la complicazione di una totale assenza di materia sospetta.
E così è nata la strategia delle “caccia al papà”. Renzi e Boschi ( che sono le due figure più significative e mediaticamente esposte del vertice Pd) non desteranno sospetti per i loro reati ma li destano per la loro giovane età. Renzi ha 42 anni, la Boschi ne ha 37. E questo è il punto debole. Perché un leader giovane ha ancora dei genitori in attività. E per di più la Boschi ha un papà dirigente di banca, dunque espostissimo a qualunque tipo di inchiesta giudiziaria, e il papà di Renzi è un toscanaccio che si è sempre occupato di affari e che ha il telefono più o meno da sempre sotto controllo.
Così è nata l’idea di usare i padri per colpire i figli. Che è l’ultimissima e raffinatissima trovata della “repubblica mediatico- giudiziaria”.
Voi ricorderete di quando è nata la “civiltà politica dell’avviso di garanzia”. Più o meno 25 anni anni fa, nel 1992, quando si è deciso che un politico che riceva un avviso di garanzia è tenuto a dimettersi. In questo modo non solo fu impallinato Craxi ( insieme a mezzo gruppo dirigente della Dc), ma quando Claudio Martelli stava per sostituirlo alla guida del Psi per provare a salvare il partito, scattò l’avviso di garanzia pure per lui, e Martelli concluse un paio d’ore dopo, a 49 anni, la sua lunga carriera politica. Anche il Psi concluse la sua corsa.
Poi le regole divennero più rigorose. Non serviva più l’avviso di garanzia ma bastava essere iscritti nel registro degli indagati. Talvolta anche a propria insaputa, ma mai ad insaputa di qualche buon giornalista informato da un Pm. Infine venne la Severino, che rese ancor più stringenti le norme stabilite di fatto da Pm e giornali. Ora c’è quest’ultima, impreivista, evoluzione. Non serve, per metterti sotto tiro, che tu sia responsabile o sospettato di qualcosa. Basta che sia sospettato tuo padre ( ma anche, immagino, tua madre).
Cosa ha fatto il papà della Boschi? Ha ucciso, ha rubato, ha sequestrato delle persone, ne ha abusato sessualmente? No. Il papà della Boschi sedeva nel consiglio di amministrazione di una banca la quale, forse, ha commesso delle scorrettezze. Per la maggior parte di queste scorrettezze il dottor Boschi non è indagabile, perché è stato accertato che non ne era a conoscenza, ma esiste ancora una possibile scorrettezza ( vendita ai clienti, da parte della banca, di titoli molto incerti ed economicamente pericolosi) della quale non si sa ancora se papà Boschi fosse o no a conoscenza.
Nessuno pensa che possa aver guadagnato qualcosa, da questa vendita. Né che ci abbia messo del dolo. E probabilmente, anzi sicuramente, se fosse uno come un altro non sarebbe affatto preoccupato. Aspetterebbe la conclusione delle indagini - delle quali nessuno parlerebbe sui giornali - con ottime probabilità di essere scagionato o di vincere il processo. Ma il dottor Boschi è una persona che non interessa a nessuno in quanto dottor Boschi o signor Boschi, interessa solo in quanto papà, e soprattutto in quanto papà alla vigilia della campagna elettorale. Perciò Il Fatto, ma non solo Il Fatto, anche i giornaloni odiati da Travaglio, si occupano di lui e gli dedicano molte prime pagine.
Quanto tempo ci vorrà ancora per avere una campagna elettorale guidata e combattuta dai leader dei partiti e dai candidati parlamentari, e non dai magistrati e dai loro giornalisti amici?
Molto, temo: molto. Certamente non sarà questo il caso della campagna elettorale 2018. Le batterie sono già schierate. Da un lato i fucilatori dei papà di centrosinistra, dall’altro i soliti giudici e giornalisti che lavorano ai fianchi Berlusconi. Le ultime trovate sono state il rilancio di svariati processi Ruby ( nonostante l’assoluzione piena in Cassazione) e poi il ritorno in campo di De Benedetti, che in un’intervista al Corriere ha corretto Scalfari e ha detto che è una vergogna sostenere che si possa votare per uno come Berlusconi che è stato condannato per evasione fiscale. Argomento molto singolare da parte di un finanziere che ha da poco patteggiato per una irregolarità fiscale e ha pagato quasi 200 milioni per chiudere la partita ( grazie anche all’indulgenza dei magistrati che hanno pensato che l’evasione di 4 milioni di Berlusconi fosse penale e che i circa 200 milioni di De Benedetti fossero solo una irregolarità “civile”).
Per ora da questa trasformazione della politica in una caccia al nemico, condotta con l’aiuto di un drappello di Pm, guadagnano solo i 5Stelle, che sono anche loro colpiti da avvisi di garanzia a raffica, ma sono risparmiati da Tv e giornali. Però non devono illudersi neanche loro. Le mute dei cacciatori di indagati, prima o poi, allargano il loro raggio di azione. I giornalisti son così: lunatici. E non è detto che i dirigenti dei 5Stelle, tutti molto giovani, non abbiano babbi o mamme da colpire.