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ANDREA MIRENDA, CONSIGLIERE CSM
La componente togata del Csm si è compattata contro la riforma costituzionale. Tutti d’accordo, tranne uno, l’indipendente Andrea Mirenda, unico ad astenersi e ad aver già vissuto sulla propria pelle il sorteggio. Che potrebbe rappresentare una soluzione, afferma, alle degenerazioni correntizie.
Lei è l’unico togato ad essersi astenuto dal voto sul parere sulla separazione delle carriere, dichiarandosi favorevole in particolare al sorteggio come strumento per riformare il Csm. Che effetti pensa che avrà, in concreto, questo intervento legislativo?
Come ricordato in plenum anche dal Pg Luigi Salvato, separazione delle carriere e Alta Corte, se approvate - auspicabilmente con i correttivi evidenziati nel dibattito di plenum - non saranno la “Fine di Mondo” paventata dalle correnti né la soluzione dei nodi storici della giustizia italiana, principalmente bisognosa di un razionale efficientamento che assicuri celerità, prevedibilità e stabilità delle decisioni. Diverso discorso vale per il sorteggio ( anche qui preferibilmente nella sua forma temperata) che, nel breve- medio periodo, potrà scardinare l’occupazione correntizia del Consiglio, restituendo autonomia e indipendenza ad ogni singolo consigliere, come prevede il Codice etico dei Consigli di giustizia europei. Del tutto prevedibile e scontato il parere negativo espresso sul punto dal plenum: non si può chiedere ai designati dalle correnti di porre fine al loro enorme potere parallelo.
Lei ha infatti chiarito che il Consiglio non può essere un organo politico. Finora in che misura lo è stato? Quali azioni concrete propone per ridurre l’influenza delle correnti?
Come ha ripetuto la Corte costituzionale, il Csm è organo di rilevanza costituzionale al quale sono assegnati i compiti di altissima amministrazione descritti dalla Carta. Una rappresentanza tecnica per categorie, mitigata dalla presenza dei laici per evitare spinte corporative. Guai se il Csm fosse organo politico, perché esporrebbe i magistrati, soggetti “soltanto” alla legge, al rischio di arbitri legati alla mutevolezza degli umori politici. Il rischio di deragliamento politico il Csm lo corre quando pretende di tracciare il modello conformativo di magistrato. Intuibili le ricadute su ogni piano della vita professionale, dalle progressioni di carriera al rischio disciplinare. Un’azione concreta per porre fine alle distorsioni consiliari, lasciando immutato il sistema elettorale, sarebbe quello della rotazione negli incarichi direttivi: ove mai il legislatore volesse introdurla, verrebbe meno alla radice il mercanteggiamento clientelare che vi ruota attorno.
In più occasioni ha affermato che l’indipendenza del magistrato si fonda sul singolo e non sul Consiglio superiore. Come concilia questa visione con l’importanza di avere un Csm che svolga un ruolo significativo nella protezione dell’autonomia della magistratura?
La Costituzione assegna l’indipendenza ad ogni singolo magistrato; quella del Csm è un’indipendenza chiaramente secondaria, strumentale ad assicurare quella primaria del magistrato. Nel tempo, tuttavia, è andata stratificandosi, nel circuito di governo autonomo, un’idea pericolosa: indipendente è la magistratura nel suo complesso e il Csm ne è il suo rappresentante. Un’idea di tipo “sostitutivo”, che finisce per illanguidire l’intensità dell’indipendenza assegnata al singolo magistrato, reso più debole davanti al Csm. La dottrina ha svolto acute riflessioni sulla pericolosità della minaccia interna all’indipendenza del giudice, la più subdola…
Ha parlato di un “continuismo pericoloso” riguardo alla creazione di un’Alta corte disciplinare. Cosa intende con questa affermazione e quale modello alternativo suggerirebbe per la giustizia disciplinare?
Si continua a pensare ad un modello di “giudice speciale per i magistrati”, senza porsi il problema dell’ardua compatibilità di ciò con la Costituzione. Se, dunque, concordo anch’io sull’assoluta necessità culturale di conservare in seno al Consiglio il momento sanzionatorio, occorre, tuttavia, attribuirgli la sua dimensione ovvia e naturale: non più sentenza di condanna ma normale atto amministrativo, come accade negli altri rami della Pa, impugnabile dal Pg della Cassazione o dal magistrato sanzionato davanti al giudice amministrativo, secondo le regole ordinarie, con successiva possibilità di ricorso in Cassazione.
Crede che il Csm dovrebbe limitarsi a una gestione più “manageriale” della giustizia o dovrebbe ampliare il suo ruolo in ambito giuridico e disciplinare?
Il tema della managerialità del Csm è delicato, tenuto conto del rigido riparto di competenze tra sistema di governo autonomo della magistratura e ministro della Giustizia. A bocce ferme, Il recupero della managerialità del Csm non può passare altro che attraverso lo snellimento del suo burocratismo dirigista, riconoscendo maggiore autonomia agli Uffici, coerente con la predicata “attitudine direttiva” dei loro capi, sin qui ridotta a formula vuota. Ridurre l’anelasticità degli Uffici significa assicurare loro maggiore efficientamento, maggiore capacità di celere adattamento alle varie criticità via via emergenti. La risposta consiliare sul punto è, di regola, assai tardiva. Escludo, invece, che il Csm debba/ possa invadere la sfera giurisdizionale riservata al magistrato.