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Non è detto che per governo e maggioranza oggi sia il venerdì nero. Però il rischio c'è, e forte. Quella del Mes, Meccanismo europeo di stabilità, comunemente noto come Fondo Salvastati, non è una grana tra tante ma un macigno. La riforma del fondo è stata trattata dal governo gialloverde nelle condizioni peggiori, sotto la minaccia della micidiale procedura d'infrazione per debito. L'allora ministro dell'Economia e il suo successore Gualtieri, allora in veste di presidente della commissione Banche dell'Europarlamento, riuscirono a evitare i passaggi più drastici reclamati dai governi del Nord Europa, in particolare la codificazione della ristrutturazione del debito come condizione per accedere ai prestiti del Fondo, ma quel rischio, sia pur senza automatismo come segnala proprio il ministro Gualtieri, è comunque corposo. Tanto più che la riforma implica di fatto un passaggio della decisionalità sul prestito da un istituto politico come la commissione europea a uno tecnocratico come il Mes stesso.
I difensori della riforma segnalano gli aspetti positivi, come l'aumento del Fondo, la spinta verso una maggiore integrazione europea e di conseguenza la più robusta difesa da eventuali attacchi speculativi contro l'euro. Sembra tuttavia difficile negare che, almeno in alcune eventuali circostanze, il Mes riformato aumenterebbe la minaccia di default per l'Italia. Rischio al quale se ne aggiunge un altro, indicato il 15 novembre con toni molto allarmati dal presidente di Bankitalia Visco. Si tratta dell' ' effetto annuncio' e lo stesso Visco lo sintetizzava così una settimana fa: ' I piccoli e incerti benefici di un meccanismo per la ristrutturazione dei debiti sovrani devono essere soppesati considerando l'enorme rischio che il semplice annuncio della sua introduzione inneschi una reazione a catena'. Una volta esploso il caso, Bankitalia ha ingranato una vertiginosa retromarcia assicurando che Visco non voleva esprimere ' un giudizio sfavorevole' sulla riforma, Ma equivocare sulle parole che aveva pronunciato pochi giorni prima è impossibile.
Ai nodi di merito, tutt'altro che sciolti, si aggiungono quelli di metodo. La Lega, ma anche una parte dell'M5S, accusa o almeno fortemente sospetta il premier di essersi mosso in modo opaco, senza coinvolgere l'allora maggioranza, offrendo una sponda a Merkel e Macron per accreditarsi come punto di riferimento di Bruxelles a Roma. La decisione di Conte di riferire in aula solo il 10 dicembre, appena tre giorni della data prevista per l'approvazione della riforma da parte dei 19 Stati dell'eurozona, sembra confermare il dubbio che Conte miri a evitare, se appena possibile, il confronto aperto con un Parlamento del quale diffida.
La richiesta di Di Maio, perentoria e sin qui non smentita, è quella di non firmare la riforma. Il veto italiano, però, non sarebbe affatto ordinaria amministrazione. Si tratterebbe al contrario di una mossa deflagrante sia nei confronti della Ue che dei mercati, per i quali il veto suonerebbe come ammissione della possibilità di dover ricorrere al prestito. 5S, in effetti, sono tanto per cambiare divisi. La presidente della commissione Finanze della Camera Ruocco ha ieri smentito apertamente il ' leader politico' difendendo il Mes e sottolineando la massima fiducia sia in Conte che in Gualtieri. Il vertice di oggi sarà quindi un passaggio per nulla semplice, anche perché l'eventuale no dei 5S alla riforma suonerebbe come sfiducia non solo nei confronti del premier ma anche del ministro dell'Economia che si è fatto garante della positività per l'Italia del nuovo Mes.
Nel pomeriggio sarà il turno dell'incontro tra governo e vertici di ArcelorMittal sull'Ilva. E' un ulteriore passaggio delicatissimo. Se le trattative con la multinazionale non ripartiranno il governo dovrà confrontarsi con una situazione disperata. Il piano B, infatti, è inesistente. Senza un ripensamento di Mittal la situazione rischia forte di passare da drammatica a tragica.
La retromarcia della multinazionale è possibile. Il governo italiano ha giocato bene le proprie carte eliminando dal novero delle opzioni la chiusura dell'acciaieria, che era probabilmente il vero risultato a cui miravano i franco- indiani. Senza quell'ipotesi di massima sul tavolo è plausibile che si accontentino di portare a casa 3mila invece di 5mila esuberi, lo scudo penale e un sensibile sconto sull'affitto. Sempre che si trovi una soluzione all'obbligo di spegnere comunque l'altoforno 2. La ' resa' di Mittal, in questo caso avrebbe comunque un costo molto alto da tutti i punti. Politicamente esporrebbe il governo al rischio di dover contare sui voti dell'opposizione per approvare il decreto sullo scudo penale. Ma se la multinazionale insisterà per la rescissione del contratto l'impegno a non chiudere comunque l'Ilva verrà messo alla prova dei fatti e sarà un guaio anche peggiore. Nella migliore delle ipotesi si aprirebbe infatti un percorso simile a quello di Alitalia, che proprio in questi giorni, per sinistra coincidenza, registra l'ottavo fallimento nel tentativo di trovare un socio.
Forse sarà il venerdì nero e forse no. Ma si può scommettere che Conte terrà le dita ben incrociate fino allo scoccar della mezzanotte.