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Caro direttore, persino l’armadillo che faceva da mentore e coscienza critica di Zero, lo sfaccendato talentuoso del fumetto di Zerocalcare, se interpellato sul tema avrebbe sicuramente detto, col fiuto animalesco vaticinante tipico degli armadilli, che il tortuoso ménage tra Giggino e Matteo non sarebbe durato più di tanto. Addirittura il divorzio si celebra troppo tardi, in un’estate italiana che nel mese d’agosto aveva fino ad ieri incrociato la politica solo per due motivi: i governi balneari di Leone e Fanfani o, nella versione deviante, i tentativi di golpe. Al più, da qualche anno a questa parte, le esibizioni balneari di sirenetti e sirenette di governo prelevati dai talk show di Bruno Vespa. Ma, ragazzi, non sarà mica la terza Repubblica tanto per dire, qui si cambia sul serio! E così con un coup de théâtre, praticamente a freddo, Salvini scarica il governo puntando alle elezioni in ottobre. A volte, però, andare al voto può diventare più difficile di quanto non appaia, viste le procedure parlamentari da rispettare.
L’istinto di sopravvivenza dei deputati e senatori spaventati dall’horror vacui della disoccupazione, e, diciamolo, anche se l’espressione può sembrare desueta, lo sguardo necessario all’interesse superiore del Paese, che avrebbe bisogno di una legge di Stabilità per evitare l’aumento dell’Iva, che consenta una tenuta dignitosa dei conti evitando precipizi con l’Europa e, per stare in argomento, che riesca a guadagnarci una rappresentanza utile nel governo dell’Ue. Senza contare lo spauracchio del l’esercizio provvisorio, il montare dello spread eccetera. Nelle prossime ore si vedrà. Mentre lanciamo un pensiero solidale ai parlamentari che, poveretti, abbandonano spiagge e resort di montagna per portarsi a Roma ( a far che? Boh!), diamo un’occhiata all’offerta politica che si presenta all’elettore. Di Salvini si sa: aspira all’en plein senza bisogno di apporti. Al più potrebbe accettare incontri ravvicinati di qualche tipo con l’ultrasovranista Meloni, fedele sparring partner.
Qualche dubbio sull’alleanza con Berlusconi che, non a caso, rilancia parole d’ordine moderate e solitarie. Sul fronte grillino è presto detto: l’aspirazione massima è la riduzione del danno e la cosa che fa riflettere è l’odore di senilità politica che già circonfonde il protagonista assoluto di questa stagione, Di Maio. Se l’armandillo potesse scommettere punterebbe su Conte come candidato presidente per il MoVimento, sottolineando così i profili istituzionali piuttosto che quelli divisivi incarnati dalle diverse anime belle che invasano lo stesso corpo pentastellato.
Il Pd di Zingaretti è più complicato. Si muove nell’ottica dello sforzo per una ripresa identitaria a sinistra ma viene rappresentato in Parlamento da gruppi che in prevalenza rispecchiano la precedente gestione. Deve rendere più chiara e visibile la sua proposta nella prospettiva di una campagna elettorale divaricante. E fugare i rischi scissioni di Renzi.
Gli altri partiti sul mercato del voto devono fare i conti con una legge elettorale che non consente la presentazione di liste se non a quelle formazioni politiche che hanno gruppi parlamentari sia alla Camera che al Senato. Se no, si devono trovare le firme da apporre in calce a liste già formate. È chiaro che la legge tende così a ridurre fortemente l’offerta elettorale.
All’appello manca quello che una volta si chiamava il centro e che oggi potrebbe fare da riferimento a segmenti non marginali del corpo elettorale, che probabilmente hanno rinunciato alle urne negli ultimi appuntamenti. Non sono le ceneri di un passato remoto ma un’area di mezzo in cui democratici- liberali, sensibilità ambientaliste, istanze solidaristiche, italiani normali, possano trovare una risposta non umorale ad un bisogno di serietà, di visione, di buon governo.
Uno spazio nuovo: un partito che non c’è. L’armadillo tace sull’argomento, ma accetta scommesse.