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ALESSANDRO PARROTTA*
Le centosettantanove udienze, aventi ad oggetto procedimenti di separazione consensuale, celebrate alcuni giorni fa presso il Palazzo di Giustizia di Torino ( tutti tra le 8.50 e le 13.10 del 9 settembre!) certificano, ancora una volta, come questo debba essere considerato un modello virtuoso da seguire a livello nazionale ma soprattutto – circostanza ben più importante – confermano che il problema del sistema giudiziario italiano non risiede nei professionisti che ne fanno parte ma nei mezzi, vetusti e antiquati, di cui gli stessi sono dotati.
In particolare, il cosiddetto “rito di massa” nasce da un’intuizione del Presidente del Tribunale di Torino, Massimo Terzi, il quale, da un anno e mezzo a questa parte, si è determinato nel fissare una volta al mese 150 cause in una sola giornata ( questa volta ne ha aggiunta qualcuna in più in considerazione della pausa estiva) per smaltire il carico di lavoro del suo ufficio e assicurare un servizio di certezza e celerità ai cittadini.
Lo stesso Presidente ha dichiarato che con questa metodologia sono state smaltite 3mila cause in un anno e mezzo; inoltre le udienze di separazione e divorzio a Torino vengono ormai fissate a 60 giorni, caso unico a livello italiano.
Il risultato è stato raggiunto grazie all’apporto di Magistrati e Avvocati, ma soprattutto grazie all’uso di una sapiente «reimpostazione telematica», come la chiama il dottor Terzi.
Nel concreto, si è fatto in modo – d’accordo con gli avvocati – che anche la prima richiesta venga inoltrata per via telematica, in maniera tale da permettere ai vari Uffici di predisporre in anticipo per l’udienza atti, verbali e sentenze, seguendo modelli già pronti, sulla base di tracce scritte dal Presidente stesso, adattate caso per caso.
Questo, in breve, il segreto che ha permesso di accorciare nettamente i tempi del processo.
Una simile modalità potrebbe essere estesa a tutto il territorio, consapevoli tutti che sarebbe compatibile solo con le cosiddette «procedure ad alta serialità». Peraltro, i riscontri sono positivi anche dal punto di vista degli avvocati, che in tal modo possono finalmente garantire all’Assistito soluzioni in tempi rapidi.
La Giustizia attende da tempo un adeguamento a standard di modernità e questo dato dimostra che magistrati e avvocati non sono assolutamente il problema della lentezza che investe da anni il processo italiano ( come peraltro alcuni sostenevano e forse continuano a sostenere) ma sono, al contrario, capaci di configurare soluzioni all’avanguardia per risolvere queste problematiche.
Tuttavia, i professionisti che operano nel processo devono necessariamente essere aiutati e devono essere posti nelle condizioni di poter lavorare con mezzi idonei e moderni, tanto attesi dalla riforma del sistema giudiziario che, sempre più, appare come un impegno da considerare ai primissimi posti di qualsiasi agenda di governo.
* Avvocato, direttore dell'Ispeg Istituto per gli studi politici, economici e giuridici