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Il presidente Giuseppe Conte nella conferenza stampa di stasera
Il prossimo giugno rischia di non essere semplicemente la data della probabile riapertura dell’Italia. Il per quanto parziale sblocco del Paese annunciato ieri l’altro sarà il turning point, il punto in cui si volterà pagina. Letteralmente: le cronache tragiche del coronavirus lasceranno prime pagine ed aperture dei telegiornali, per trasferirsi nella parte medio- bassa dello sfoglio delle notizie. Il Covid19 - forse ce ne eravamo giustamente dimenticati- ha avuto quale immediato portato collaterale la messa in sicurezza del governo, rendendo fallaci gli assalti improvvidi che pure sono stati il tappeto sonoro della pandemia, e anzi facendo scendere assai nei sondaggi della pubblica opinione chi continuava a protestare le ragioni di un cambio di mano a Palazzo Chigi.
In tutti quei sondaggi, nelle ultime settimane la Lega ha segnato particolari risultati: ha perso, a seconda dell’istituto di ricerca, tra il 7 e il 10 per cento rispetto all’ultimo risultato elettorale conseguito, il 34,5% alle europee. Ma non appena l’emergenza sanitaria nazionale si sarà concretizzata in crisi economica gravissima, e il lockdown sarà uscito dal vocabolario dei media, all’incirca per l’appunto alla metà di giugno, riprenderà l’assalto a Palazzo Chigi. Ne sa qualcosa il Capo dello Stato, che per tempo ha avuto modo di avvisare politici e pubblica opinione: attenti, è stato fatto trapelare dal Quirinale, «sarebbe una crisi al buio».
Naturalmente non è una minaccia, ma puro realismo, e tratteggiato con buon senso: quale maggioranza potrebbe mai sostenere la defenestrazione di Giuseppe Conte, stante che quella relativa in Parlamento è in mano ai 5Stelle che, al di là delle minutaglie scalpitanti, si tengono ben stretti l’attuale inquilino di Palazzo Chigi? Soprattutto, il messaggio - e la preoccupazione- di Mattarella è evitare l’avventurismo. Oltretutto, per storia politica e personale carattere Mattarella, per quanto preoccupato ( appunto), non è in nulla incline a governi presunti tecnici sostenuti da maggioranze politiche che sarebbero, come l’intera vicenda repubblicana insegna, tiepide, fragili, e di corto destino. Per giunta, il “governo del presidente” che Mattarella aveva progettato di affidare a Carlo Cottarelli per sbrogliare l’intricatissima matassa che s’era annodata nella formazione dell’esecutivo dopo le ultime elezioni politiche, durò lo spazio di una notte, con l’uscita di scena di Cottarelli al mattino da una porta di servizio del Quirinale perché le forze politiche che avevano garantito il sostegno cambiarono idea, ritirando fuori dal cilindro un loro messo, proprio Giuseppe Conte. Un’esperienza che nessuno di buon senso si sentirebbe di rinnovare.
Ma è lunga e storica, si direbbe, la vicenda dei leader politici o presunti tali che fanno orecchie da mercante quando il Quirinale si fa sentire. E non solo di politici si tratta. C’è un gran lavorìo già adesso intorno alle sorti del governo, e si trovano tracce del tramestìo. Le nomine, con i nomi più importanti, quelli di capi azienda che pesano e contano più dello stesso governo, non hanno subìto cambiamenti. E non perché saggezza abbia consigliato di non muovere troppo le acque, cosa che avrebbe semmai fatto prevalere l’ipotesi di un breve prolungamento di mandato. No, molte delle nomine effettuate dal governo Renzi sono state semplicemente riconfermate per “tranquillizzare”, assecondandoli, gli stessi ambienti che vorrebbero un cambio a Palazzo Chigi.
Poi c’è la nuova Confindustria di Bonomi, il cui primo atto - ancor prima dell’insediamento a Viale dell’Astronomia- è stato un duro attacco al governo. L’elenco delle oligarchie imprenditoriali e non solo, e dei pezzi di establishment che dall’esecutivo si aspetta sussidi e mano libera ( condoni, e di peggio) è infinito. Se ne trova tracce nelle sparate di Matteo Salvini, che dà voce al sentiment di quegli ambienti: l’Italia giallo- rossa è troppo “di sinistra” ( le virgolette sono indispensabili perché non si vede cosa sia “di sinistra” nelle politiche del governo, a parte aver ripristinato la concertazione con le parti sociali, una cosa che fu inventata da un liberale del calibro di Carlo Azeglio Ciampi). Ma, uscito di scena Matteo Salvini, quando sarà, quelle pressioni resteranno. Gli animal spirit italiani non si sono mai sopiti. Una volta si chiamavano “poteri forti”, oggi non si può più perché non c’è più né potere né forza, simmetricamente al downsizing del Paese tutto. Sono quelli che credono - tra gli altri- all’uomo che sussurra a destra e a manca “io parlo con Draghi”, e che lo candida al posto di Giuseppe Conte ben sapendo che si tratta dello scambiare un desiderio per realtà. Ogni tanto viene il dubbio che l’attivissimo Giorgetti stia candidando se stesso. A lui o a chi per lui, in questo caso resta solo - oltre a ricevere l’eventuale incarico dalle mani del presidente della Repubblica, naturalmente- di trovarsi una maggioranza in Parlamento. E magari occorreranno delle elezioni da vincere, prima.