Una vita dedicata alla difesa dei diritti umani che in questi giorni possono essere polverizzati per sempre sotto le bombe israeliane. L’avvocato Raji Sourani vive a Gaza City ed è la colonna portante del “Palestinian Centre for Human Rights”, organizzazione indipendente che collabora con le Nazioni Unite affiliata all’ICJ (International Commission of Jurists) di Ginevra. Siamo riusciti a contattare Sourani in un momento che solo apparentemente si è dimostrato tranquillo. Durante l’intervista, abbiamo dovuto interrompere un paio di volte la conversazione a causa dei bombardamenti. Abbiamo contato otto esplosioni. Sourani, con la calma di chi è abituato a vivere situazioni pericolose, è anche in grado di ironizzare. Alla settima bomba esplosa a poca distanza dalla sua casa, in neanche venti minuti di intervista, Raji dice: «È il nostro party notturno con il suono delle bombe, con le case che ballano e i vetri che sembrano frantumarsi da un momento all’altro. Non oso immaginare cosa potrà succedere nelle prossime ore».

Avvocato Sourani, questa volta il conflitto con Israele rischia di avere conseguenze ancora più drammatiche? È la resa finale?

Si, purtroppo, temo di sì. Quanto sta accadendo non ha precedenti. Questa volta si rischia che anche quanto è stato costruito con fatica negli anni passati venga cancellato definitivamente. A Gaza sono stati realizzati programmi internazionali per la distribuzione di cibo e di altri aiuti internazionali. In passato siamo riusciti a mettere in piedi, nonostante mille difficoltà, un tessuto produttivo che poteva contare su una serie di attività economiche e una comunità finanziaria locale in grado di far vivere il territorio. Gli israeliani hanno deciso di disconnetterci dal mondo. Hanno deciso di relegarci al medioevo. Gaza è stata distrutta e tante persone sono morte con il crollo di edifici, ospedali, scuole e moschee.

In questo contesto non sono mancati gli errori. Sono stati tanti?

Il passato ha offerto numerosi spunti di riflessione che poi hanno portato ad agire in un certo modo con delle semplificazioni. Alcune situazioni ed alcune persone sono state considerate tutte uguali, senza fare più quelle doverose distinzioni che servono poi ad agire con lucidità e a trovare un interlocutore attendibile. La comunità internazionale spesso ha considerato Gaza come un luogo in cui scaricare solo aiuti alimentari e medicine, come se ci si volesse lavare la coscienza. Arafat è stato considerato un terrorista, Abu Mazen è stato considerato un terrorista, Jihad e Hamas sono classificati gruppi terroristici. I palestinesi, di conseguenza, sono considerati cattivi. Hamas ha colto di sorpresa l’esercito israeliano, dotato delle armi e degli strumenti più sofisticati, e si è reso protagonista di quello che abbiamo visto tutti.

Il prezzo più alto adesso lo pagheranno tanti innocenti?

Proprio così. A pagare le conseguenze di quanto successo pochi giorni fa sarà la popolazione civile che vive nella Striscia di Gaza. Impossibile che non ci siano gravi conseguenze, considerate le operazioni militari programmate e annunciate da parte di Israele. I bombardamenti che si sentono in sottofondo ne sono la dimostrazione. Perché attaccare indistintamente? Perché distruggere tutto, senza pensare anche alle organizzazioni umanitarie che sono ancora presenti qui? Non si sta distinguendo, e questo è il grande errore, che una cosa è Hamas e un’altra cosa è la popolazione di Gaza. Quest’ultima viene usata come scudo, viene tenuta in ostaggio per essere macellata. Una situazione già denunciata da tante organizzazioni umanitarie.

A questo punto la conversazione si interrompe. Qualche istante prima alcune esplosioni sono più che un sottofondo; sembrano a poche centinaia di metri dall’abitazione di Sourani. «Senti, senti quanto sono vicine», afferma l’avvocato palestinese. Chissà quanti danni sono stati provocati e se ci sono vittime. Non è dato saperlo. Un paio di minuti dopo è possibile riprendere l’intervista.

Non si parla più di rispetto dei diritti umani. L’operazione militare programmata da Israele li metterà su un secondo piano?

Non c’è dubbio. I civili saranno colpiti duramente e vivere in questa situazione non farà altro che aumentare disagio, sfiducia e rabbia. Badiamo bene, però. Fare delle distinzioni tra civili di un Paese o di un altro, fare delle classifiche sul numero dei morti, significherebbe commettere un grande errore. Anzi, significherebbe continuare a commettere gli errori che hanno caratterizzato la storia di quest’area. Le organizzazioni e le autorità che difendono i diritti umani non potranno non tenere conto di quello che subiscono i palestinesi. La domanda che ricorre sempre nei nostri ragionamenti è: perché colpire i civili, le donne, gli anziani e i bambini? Perché distruggere le abitazioni, le scuole gli ospedali e i luoghi di culto?

L’invito ad abbandonare Gaza sembra non tenere conto della realtà. Cosa ne pensa?

Infatti è poco realistico. Dove dovrebbero andare centinaia e centinaia di migliaia di persone che vivono già in condizioni precarie? Vivono in casa loro già male e si vuole offrire loro un futuro ancora più incerto e triste. Anzi, privarle del futuro. Alcune dichiarazioni lasciano il tempo che trovano e possono facilmente essere commentate. Nel frattempo, si condanna la popolazione ad una lenta agonia. È stata tolta l’elettricità, manca l’acqua, non si distribuiscono cibo e medicinali. Solo chi non vuole vedere quanto sta accadendo non riuscirà a rendersi conto neppure delle violazioni che si stanno verificando. Questa è una persecuzione e si stanno consumando dei crimini. Un’altra cosa va evidenziata.

Quale?

Se Israele ha dei problemi con Hamas, li risolva con Hamas. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato invece che interverrà su Gaza, senza distinzioni, con tutte le conseguenze che ci saranno per tanti innocenti. Noi vogliamo il rispetto dei diritti umani e vogliamo l’affermazione dello Stato di diritto. I civili pretendono giustizia e l’affermazione, in questo caso, di una giurisdizione universale. Un concetto che il “Palestinian Centre for Human Rights” ha avuto modo di ribadire più e più volte in numerose occasioni, a Ginevra, a Stoccolma, a Madrid, a Londra, a Auckland, a Roma. Siamo stati bloccati politicamente, ma non da un punto di vista legale in merito alla fondatezza delle nostre argomentazioni.

Ci saranno in futuro delle iniziative legali?

In Ucraina, dopo oltre un anno di guerra, abbiamo assistito ad una mobilitazione giudiziaria contro Putin. Tutto giusto. Con un punto di partenza condivisibile, che pone al centro il diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina e la fine dell’occupazione russa. Il “Palestinian Centre for Human Rights” chiede alla comunità internazionale di intervenire per fermare i massacri a Gaza e fornire protezione alla popolazione civile.