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In cella per vent'anni La vicenda umana e giudiziaria di Christopher Tapp è l’emblema di un sistema distorto alla radice, molto efficiente nel “fabbricare colpevoli”, cinico e svogliato nel ricercare la verità; un sistema a tratti kafkiano che ruota attorno al dogma religioso della confessione e all’etica biblica del castigo.
E in effetti aveva confessato uno stupro e un omicidio Christopher Tapp quando, oltre venti anni fa, fu interrogato dai poliziotti che indagavano sul la morte di Angie Dodge, avvenuta nel 1996.
Una confessione estorta Lo avevano convocato perché conosceva la vittima e volevano una testimonianza su una persona sospetta.
Un’interrogatorio di routine che però si trasforma un incubo: basta qualche risposta contraddittoria, alcune esitazioni, il nervosismo che sale perché gli agenti sentano l’odore del sangue.
Gli dicono che il colpevole è lui, che non ci sono altri sospettati, che non può dimostrare la sua innocenza e che alla fine della giostra ci sarà il patibolo
. La manipolazione piscologica è esemplare, Tapp, che ha appena 20 anni ed è in preda al panico confessa tutto tra le lacrime.
Statistiche impietose Confessa anche se era innocente. Sembra un paradosso ma, come mostrano impietose le statistiche, circa il 30% delle vittime di errori giudiziari negli Stati Uniti è entrato in cella grazie a una confessione estorta dalla polizia. Tapp fa parte dei quel 30%.
Il suo destino sembra ormai segnato: si salva dalla pena di morte ma dovrà scontare trent’anni anni in un penitenziario dell’Idhao. Quale avvocato o giornalista potrà mai interessarsi al suo caso?
La madre della vittima Ma è qui che intervengono delle circostanze fortunate, circostanze capaci di inceppare il sistema e di modificare una storia già scritta.
Il punto di svolta ha un nome e cognome: Carol Dodge, la madre della vittima, per nulla convinta della colpevolezza di Tapp.
Ascoltando attentamente i nastri della confessione si rende conto che il ragazzo è stato manipolato ad arte dagli agenti. Assume degli investigatori privati che si procurano una traccia del Dna ritrovato sul luogo del delitto, contatta i media e gli studi legali, ma quella “confessione” pesa come un macigno.
Ci vorranno degli anni per ottenere la prima vittoria: nel 2014 Tapp viene scagionato dall’accusa di violenza sessuale, le tracce di sperma accanto alla povera Angie non erano sue.
Purtroppo non basta, rimane l’accusa di omicidio, il che suppone che nell’appartamento di Angie ci fosse una terza persona, eventualità smentita da tutti i rilevamenti della polizia scientifica.
L’inchiesta non viene riaperta. Carol Dodge è furiosa, vuole la verità sulla morte di sua figlia e tirare fuori dal carcere quella persona innocente . Così continua la sua battaglia.
Progresso scientifico E qui arriva il secondo punto di svolta: il progresso scientifico. Venendo a conoscenza di una nuova tecnica che combina il Dna con l’albero genealogico, la donna ingaggia un esperto di genealogia che analizza il campione, facendo cadere come un castello di carte le accuse contro il 42enne Tapp.
Emergono infatti i profili di sette persone che hanno un legame con il killer. Tra questi Brian Leigh Dripps, un uomo che all’epoca dell’omicidio abitava di fonte la casa dei Dodge e mai interrogato dagli inquirenti.
Dripps confessa sia l’uccisione che lo stupro di Angie.
In circa 20 anni le persone scagionate negli Usa dalla prova del Dna sono state 367, ma Christopher Tapp è il primo a tornare libero grazie al test genealogico. Una conquista che renderà la giustizia americana un po’ meno ingiusta.