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Appare chiaro a tutti che il piano concreto e preciso di riforme, indispensabile per ottenere i fondi europei, non esiste, mentre lo stato di necessità lo imporrebbe. E’ ciò che Sabino Cassese ha felicemente definito “inedia programmatica”. Siccome tale piano non c’è, risulta impossibile verificare il consenso generale sulle misure complessive o specifiche pur astrattamente ventilate, ma finora mai messe nero su bianco in progetti operativi. Fa eccezione la sanità, che costituisce la frontiera sulla quale infuria lo scontro mortale con la pandemia. Le forze politiche concordano sulla priorità assoluta da accordare agl’interventi per risanare e potenziare la sanità pubblica in tutti i suoi aspetti implicati e connessi.
Sennonché pure in materia di salute e nonostante la consonanza d’intenti, accade che i partiti siano spaccati sul ricorso al Mes, cioè sulla possibilità di utilizzare decine di miliardi, certi, liquidi, esigibili. La maggioranza e le opposizioni sono divise. Il governo fa come l’asino di Buridano, incapace di scegliere tra denari contanti e denari promessi.
Questa irresolutezza non sembra avere altro fine che puntellare il Governo spaccato in due tra avveduti impotenti e sprovveduti prepotenti. A parte tutto il resto, quale credibilità internazionale e serietà interna può rivendicare un primo ministro che, per restare in sella, rinuncia al finanziamento immediato dei bisogni sanitari sulla pelle dei cittadini? Prima la salute degl’Italiani, purché non danneggi il governo... Non dev’essere sprecata l’occasione offerta dalla pandemia d’intervenire risolutivamente sui perduranti mali della sanità. Urgenza, competenza, lungimiranza, efficienza, umanità, devono essere i criteri guida. Ma il risultato dovrà essere misurato soprattutto sul conseguimento dell’uguaglianza legale e terapeutica dei cittadini quando diventano purtroppo malati da assistere.
Stando ai fatti, la struttura sanitaria è parsa impreparata a fronteggiare l’ultimo virus, pur considerando, per onestà intellettuale, tutte le sue imprevedibili novità.
L’impreparazione appare la diretta conseguenza istituzionale di aver posto, per Costituzione, la sanità pubblica nelle mani della politica, anziché dei medici, dei tecnici della salute, degli scienziati del ramo.
La regionalizzazione della sanità pubblica ha prodotto un risultato che contraddice l’essenza del servizio pubblico nazionale, basato sui principi di eguaglianza, generalità, gratuità. La sanità pubblica italiana è discriminatoria due volte, contro la morale e il diritto, perché vìola gli articoli 3 e 53 della Costituzione: le cure sono differenti da regione a regione; le imposte versate al fisco “rendono” così in modo differenziato.
Abbiamo visto gli ammalati, cittadini uguali davanti alla legge, trattati diversamente a seconda della regione di residenza o di ricovero. E abbiamo visto pure il potere politico regionale indirizzare, talvolta con provvedimenti contraddittori, persino i metodi diagnostici e terapeutici. E’ doloroso quanto istruttivo notare che, mentre i sanitari d’ogni qualifica professionale, anche senza equipaggiamenti come soldati disarmati al fronte, erano curvi sui malati a prezzo della vita, intorno a loro il mondo politico dell’assistenza girava in forme non esattamente appropriate, ordinate, studiate.
Il genio italico dell’improvvisazione ha dovuto sopperire eccome, per fortuna degli assistiti meno sfortunati. Non dovrà più accadere, se davvero avremo imparato la lezione.