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*Servizio video di Nicola Campagnani e Lorenzo Tardioli, collettivo Lorem Ipsum
L’ultima tappa del viaggio di Roberto Sensi “Oltre i pregiudizi” è a Motta Santa Lucia, la terra del presunto brigante Giuseppe Villella, il cui teschio è rimasto al museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” a Torino. L’ultimo pregiudizio che resta insepolto è quello sul meridione, una malattia autoimmune non ancora debellata. Ne parliamo con il professore e cultore di storia Gabriele Petrone e lo scrittore e giornalista Mimmo Gangemi.
«La questione meridionale la si è ridotta a una mera questione criminale», spiega Gangemi. Parla del presente. Un presente che non sembra essersi allontanato di un passo da Lombroso.
Il pregiudizio contro i meridionali, davvero esiste ancora?
Esiste ma ha assunto forme più nascoste, camuffate da una finzione di civiltà che lo rigetta. Sono episodi sporadici le discriminazioni di un tempo, quando non s’affittavano case ai nostri emigranti e l’essere del Sud diventava una tara, un marchio d’infamia. Il pregiudizio però continua a camminare sottotraccia. Il Sud è additato e percepito come la palla al piede dell’Italia. Gli abitanti saremmo parassiti che si perpetuano lagnosi e vittime, sfaticati, mafiosi o con mentalità mafiosa.
Com’è nato questo odio?
Non siamo mai diventati nazione. A noi è stata tramandata la memoria della forzatura sanguinaria, mai appianata e taciuta dalla storia, in un regno che ci ha conquistato e trattato da sottomessi, da Ascari, con tasse e imposizioni, la leva obbligatoria, le morti innocenti e paesi distrutti pur di eliminare il dissenso, e i briganti, peraltro spesso resistenti all’invasore. E siamo rimasti indietro, o siamo stati lasciati indietro, anche per l’insipienza della classe politica e dirigente che esprimiamo. Nel cammino assieme, c’è stata una disparità di attenzione e di risorse e si è impattato in diversità sociali, culturali, economiche, storiche, caratteriali che hanno pesato e inciso fino a realizzare un’Italia a due diverse velocità, fino a dilatare il distacco e ad alimentare l’odio. Certo è, tuttavia, che le nostre valigie di cartone degli anni ’ 50, legate con lo spago, non differivano da quelle che tutti assieme, gente del Nord e gente del Sud, allestimmo per un’emigrazione alle Americhe che soccorresse il futuro.
Al di là degli stereotipi, esiste un’identità comune che unisce i popoli del Sud?
Il regno dei Borboni è morto e sepolto. Mai è stato un elemento di coesione. Siamo Italia e ci piace essere Italia. L’identità comune c’è perché ci accumuna la storia di oltre un millennio, e ancor prima, la Magna Grecia. Dall’unità d’Italia in poi si è aggiunto l’uguale disagio di essere considerati colonia e un ostacolo alla crescita della nazione. E talvolta i disagi, le democrazie a scartamento ridotto e lo stesso pregiudizio distribuito largo sanno diventare punti di saldatura.
A volte però a trovarsi ad avere pregiudizi verso di sé è lo stesso Sud, che subisce la narrazione dominante.
Il Sud non ha molte voci autorevoli da opporre all’Italia che lo pesa e lo giudica con un metro falsato. La Calabria è quella combinata peggio. Oltrepassa il Pollino una narrazione menzognera ed esagerata nella condanna. I personaggi che hanno ascolto e microfono, e spesso una credibilità mal riposta, sono pochi. Tra loro, c’è pure chi la racconta molto peggio di quanto sia, fa trasparire l’idea che tutto sia mafia, ha creato l’equazione “calabrese uguale ’ ndranghetista”. E l’Italia ha abboccato, senza ragionare che a taluni, anche giornalisti, torna comodo irrobustire il mostro ‘ ndrangheta, che mostro è, perché così irrobustisce le carriere e i meriti, con buona pace dell’innocenza maltrattata e dello Stato di diritto scappato altrove.
Come è accaduto che un partito come la Lega, che ha fondato la propria storia sull’antimeridionalismo, finisse per essere così largamente votato anche qui?
Ingenui creduloni stendono un velo sul razzismo di decenni ed è come infilarsi da sé l’amo in bocca. Una fetta della classe politica, pur di sedere a cassetta, non bada alla parte con la quale si schiera, insegue solo il successo elettorale, bianco o nero non importa. E troppi cittadini dalla memoria corta votano, per utilità e clientelismo, il compare, l’amico, l’amico degli amici.
Cosa si potrebbe fare, nell’immediato, per il Sud?
Un’equità sociale, livellando le disparità che si sono create. Ci sono priorità che mancano e sulle quali ormai non si protesta, perché si è talmente assuefatti al degrado che ciò che altrove appare ordinario al Sud lo si vede straordinario, un di più, una concessione. La sanità è impoverita ad arte, per l’obiettivo di avvantaggiare quella del Nord, magari sovradimensionata, che accoglie anche per prestazioni sanitarie di basso peso. L’agricoltura è stata penalizzata da dover scegliere o di lasciare marcire il frutto o di ricorrere al lavoro nero, altrimenti si va in perdita. L’autostrada A2 è un inganno: mai è stata davvero ultimata, se tra Reggio a Cosenza 52 chilometri, i più pericolosi, sono rimasti quelli di prima, senza corsia di emergenza e con tracciati da brividi. L’alta velocità ferroviaria da Salerno in giù è altina, non alta. La statale 106 è la strada della morte, a doppio senso di circolazione. I treni sono lo scarto del Nord. E i finanziamenti pubblici dipendono dallo storico, da quelli ottenuti nel corso degli anni, e diventa una storpiatura della democrazia che, per esempio, Reggio Calabria non possa avere nulla o quasi per gli asili nido solo perché nulla ha mai avuto, mentre l’altra Reggio, pur con meno abitanti, ha 16 milioni annui. Perciò, lo si metta alla pari, il Sud. Solo dopo potrà essere additato colpevole.
“Si è sempre a Sud di qualcuno”, a volte però stupisce vedere comportamenti razzisti da parte di chi a sua volta ne ha subiti. Perché accade?
È un’anomalia che chi, come i veneti e i friulani, agli inizi del Novecento, popoli più nella fame e più numerosi dei meridionali nell’emigrazione e che hanno subito il razzismo, si siano trovati loro razzisti, disprezzando così il sacrificio lontano degli antenati che hanno consentito di giungere meglio ai giorni nostri. Ma tant’è. Ed è vero che c’è sempre qualcuno più a Sud oggetto di discriminazione. È di fresca memoria quella svizzera sui frontalieri lombardi. Però non ha insegnato nulla.