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Dichiarare "inammissibile" il ricorso della Procura generale di Palermo contro l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino, nello stralcio del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. E confermare l'assoluzione. E' quanto chiede il Pg della Corte di Cassazione che ha depositato una memoria per l'inammissibilità del ricorso presentato dai colleghi di Palermo lo scorso 27 febbraio contro l'assoluzione di Mannino. I sostituti procuratori Generali, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, avevano impugnato la sentenza del collegio della prima sezione della Corte d'Appello di Palermo, presieduto da Adriana Piras, consiglieri a latere Massimo Corleo e la relatrice Maria Elena Gamberini, per motivi di diritto. I pg avevano contestato "la logicità e la conformità alla legge della sentenza che", il 22 luglio del 2019, nel processo in abbreviato, aveva scagionato l'ex esponente democristiano dall'accusa di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato, confermando l'assoluzione dei giudici di primo grado. La Cassazione deciderà il prossimo 11 dicembre. Per ora l'ex ministro, interpellato dall'Adnkronos, preferisce restare in silenzio. "Aspettiamo l'udienza del prossimo 11 dicembre - si limita a dire - e solo allora parleremo". L'ex politico è rappresentato anche in Cassazione dall'avvocata Grazia Volo che lo ha assistito fin dai primi processi. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione i giudici di secondo grado avevano scritto che "Non è stato affatto dimostrato che Mannino fosse finito anch'egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo Maxiprocesso) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991, in cui era rientrato dal mese di febbraio di quello stesso anno". s) - "Insomma, indimostrato il dato fattuale, la tesi della procura con riguardo alla posizione del Mannino (in ordine all'input della trattativa ed allo specifico segmento della veicolazione da parte sua della minaccia allo Stato attraverso il Di Maggio) si appalesa non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti, con la quale non combacia da qualunque punto di vista la si voglia guardare", avevano scritto ancora i giudici d'appello. Mannino era stato già assolto in primo grado nel novembre del 2015 dal gup Marina Petruzzella. Sentenza confermata in appello nel luglio 2019. "Dunque, neppure il contesto in cui la Pubblica Accusa ha inserito la condotta, indimostrata, del Mannino, si attaglia - avevano detto i giudici guidati da Adirana Piras - alla configurazione dell'illecito penale per come contestatogli, prestandosi, come ogni macro evento storico, a chiavi di lettura opinabili, certamente inidonee ad offrire interpretazioni inequivocabili che garantiscano quella certezza, al di la di ogni ragionevole dubbio, richiesta invece dal giudizio penale di responsabilità personale". L'inchiesta sull'ex ministro democristiano fu avviata all'inizio del 1994, quando i Pm della Procura di Palermo notificarono a Mannino un avviso di garanzia per concorso in associazione mafiosa. Ma è sempre stato assolto da tutte le accuse.