Aboubakar Soumahoro si è autosospeso dal gruppo di Sinistra& Verdi che lo aveva candidato nella coalizione dei democratici e progressisti e fatto eleggere ( nel proporzionale) alla Camera dei deputati, dove si era presentato il giorno dell’insediamento calzando, sotto un abito di buon taglio, gli stivali di gomma, da lavoro, sporchi di fango. Probabilmente li aveva acquistati apposta per esibirli in quell’occasione, in evidente polemica con il “potere” che non si cura dei “dannati della terra” dei quali il neo deputato si considerava legittimo rappresentante e interprete dei loro bisogni.

Io non conoscevo neppure l’esistenza di questo ex sindacalista, ma da quel gesto all’ingresso di Montecitorio mi sentivo offeso, come in tante altre occasioni in cui sono stati esibiti cappi con tanto di nodo scorsoio, fette di mortadella, pesci e quant’altro è entrato a far parte della cronaca minore della politica. Poi, seguendo le polemiche sollevate dalle campagne di stampa e televisive riguardanti l’attività della sua famiglia, della suocera e della moglie, in assenza di qualsiasi indagine giudiziaria su Soumahoro, ho avvertito l’esigenza di prendere posizione pubblica contro l’ennesimo linciaggio mediatico a cui mi toccava di assistere. Così i principi hanno prevalso sull’antipatia. Le colpe delle suocere – mi sono detto - non possono ricadere sui generi. La magistratura – speriamo – farà chiarezza, anche se si stanno concretizzando fatti e circostanze testimoni di un ambiente di lavoro e di vita in cui, per commissione od omissione, Aboubakar si trovava a proprio agio. Io ho un’inguaribile tendenza a sostenere le cause perse ( anche perché, arrivato alla mia età, ho scoperto che sono le uniche per le quali vale la pena di combattere). Anche per questa propensione voglio dare al neo deputato autosospeso un consiglio non richiesto: quello di rimanere al posto dove l’hanno mandato i suoi concittadini. Chi legge il suo curriculum si accorge che Soumahoro dispone dei mezzi culturali e politici, oltreché dell’esperienza, per fare bene il lavoro da deputato. Penso che per lui sia stato uno shock precipitare, da un momento all’altro, dal piedistallo degli eroi, del difensore dei giusti per trovarsi sbattuto in prima pagina alla stregua del “feroce Saladino”, con gli amici di prima che fingevano di non conoscerlo. Non gli fanno onore né la reazione piagnucolosa né i tentativi di depistaggio di coloro che si erano precipitati a saccheggiare la sua vita. Ma il suo caso può essere utile al Paese, perché è rivelatore dei guasti che la canea mediatico- giudiziaria ha determinato ( nel suo come in tanti altri casi)

nella convivenza civile del Paese. Soprattutto Soumahoro è la denuncia vivente di una politica ormai priva di principi, che va alla ricerca dei ‘’ simboli’’ per riconoscere in essi se stessa o i propri avversari. Soumahoro rappresentava il simbolo della lotta contro il caporalato, contro lo sfruttamento dei braccianti e in questo ruolo ( l’immagine è sostanza nel Paese del “percepito”) dava un’efficace copertura alla sinistra che non vedeva l’ora di “spendere” quel profilo nella lotta politica. In seguito – quando sono iniziate le notizie che rendevano sfuocato e dubbio l’alone eroico del personaggio - Soumahoro è diventato, questa volta per la destra, il simbolo dello “nero periglio che vien da lo mare”, la prova provata che gli immigrati ( ancorché cittadini italiani) sono dei profittatori che arrivano da noi a cercare la pacchia e che, per sopravvivere ( nel caso in esame piuttosto bene) non esitano a delinquere.

Purtroppo per il neo deputato della lista del Cocomero ( ora in stand by) la sinistra si considera come la moglie di Cesare che deve essere al di sopra di ogni sospetto. La “ditta” si guarda bene dal difendere quanti dei suoi incappano nella gogna mediatico- giudiziaria.

C’è una lunga fila di militanti, finiti nel mirino di una giustizia assatanata, che sono stati lasciati per anni a difendersi da soli, messi da parte come appestati, anche quando le accuse sembravano assurde. Con Soumahoro la destra, con i suoi giornali, si è impegnata in una campagna di inchieste degna di quella della procura di Milano su Berlusconi e le sue cene galanti. La sinistra messa di fronte alla scelta tra l’opportunismo e i principi dello Stato di diritto, ha scelto l’opportunismo del “non sapevamo”. Come sempre. Bettino Craxi è stato l’unico che “non poteva non sapere”.