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Comincia oggi a Orvieto la convention annuale di Libertà Eguale, l’associazione politica nata nel 1999 presieduta da Enrico Morando. Il titolo della due giorni è “I problemi dell’Italia e i compiti della sinistra liberale” e dal palco si alterneranno relazioni e interventi. Pubblichiamo qui la relazione introduttiva, sul tema della “sinistra liberale alla difficile prova del Governo: opportunità e rischi" del vicepresidente vicario dell’associazione Stefano Ceccanti di Stefano Ceccanti La sinistra liberale affronta in posizione di relativa debolezza, almeno per comparazione alla scorsa legislatura, l’esperienza di Governo per vari motivi, ultimo in ordine cronologico (ma non ultimo per importanza) la frammentazione in vari soggetti. Questo non significa che l’esperienza, che andava comunque perseguita per non imboccare una strada pericolosa per la collocazione internazionale dell’Italia, vada vista solo dal lato dei rischi o solo come polizza di assicurazione almeno temporanea rispetto a un male maggiore evitato il quale ci si potrebbe dichiarare soddisfatti. Esistono le opportunità e vanno colte nell’azione di Governo perché altrimenti, senza soluzioni efficaci, il rimedio sarebbe solo temporaneo, fino alle prossime elezioni. Sulle questioni economiche non ho altro da aggiungere in questa sede alla relazione di Enrico Morando. Mi limito qui a tre sole sottolineature, a mo’ di cornice. La prima è lo strumento partito, che per la gran parte di noi è il Pd, nel rispetto di tutte le scelte personali. E’ evidente che questa prova vada affrontata con strumenti rafforzati per assicurare un raccordo costante con iscritti ed elettori. Cerchiamo, mentre pensiamo a soluzioni innovative, di non tornare indietro sulla partecipazione di iscritti ed elettori alla vita del più grande strumento del centrosinistra, in particolare con forme di preregistrazione alle primarie che di fatto ne svuoterebbero la contendibilità e, di fatto, nonostante le motivazioni, ci porterebbero a un partito stabilmente introverso, molto meno capace di rapportarsi alle persone non rigidamente appartenenti. Questo sul versante decisivo della partecipazione decidente, ma il problema non è meno rilevante sul versante della formazione politica sia per i soggetti tradizionali sia per quelli nuovi perché in nessun caso essa si può improvvisare o si può spacciare per incontri episodici e/o ritualistici. Il secondo è il tema della giustizia perché su di esso si saldano ritardi culturali di tutta la maggioranza, è quello che espone di più a rischi, data la continuità in carica del Ministro della Giustizia, viste alcune misure adottate col precedente Governo, specie in materia di prescrizione, ed altre preannunciate, come il ricorso incostituzionale al sorteggio per l’elezione del Csm. La sfida non può essere portata primariamente sul piano della revisione costituzionale, come nel progetto di legge delle Camere Penali, giacché il più è possibile per via ordinaria, sviluppando il principio della terzietà del giudice già sancito dal 1999 in Costituzione, nel nuovo articolo 111, purtroppo sinora senza apprezzabili conseguenze. Nell’idea di terzietà c’è già molto perché esso implica che accusa e difesa siano due parti che devono essere in equilibrio e che non si possa pensare all’accusatore come fuso col giudice. E’ una battaglia seria che va perseguita, gerarchizzando bene i livelli di intervento. Quello costituzionale deve servire soprattutto per l’approdo a due Csm distinti. Il terzo è il tema delle istituzioni. Per impostarlo correttamente bisogna tenere presenti due fatti, ossia il sistema dei vincoli preesistenti, cioè la legge Rosato e la riduzione del numero dei parlamentari. La legge elettorale vigente è a netta dominante proporzionale ed infatti come tale è essa a non disincentivare scissioni, come puntualmente dimostrato: il correttivo dei collegi (a turno unico e di coalizione) se spinge a presentarsi coalizzati non è comunque un antidoto perché qualsiasi gruppo minoritario compete comunque per i due terzi dei seggi a soglia bassa e, nel caso, può anche negoziare collegi, coi quali può accedere la rappresentanza anche senza raggiungere la soglia. La riduzione del numero dei parlamentari comporta un serio problema al Senato, a causa della riduzione da 7 a 3 seggi delle Regioni medio-piccole: il sistema diventa meno proporzionale ma a chiazze, peraltro allontanandosi da quello Camera. Posti questi vincoli bisogna distinguere gli interventi per compensare la riduzione dei parlamentari da quelli di sistema. I primi devono soprattutto trovare una soluzione elettorale specifica per quelle Regioni e devono utilizzare la riduzione per inserire in Senato un ruolo collettivo di tutti i Presidenti di Regione almeno sull’autonomia differenziata, inserendo un elemento di differenziazione che questi mesi hanno dimostrato necessario al sistema. I secondi devono approdare ad un modello più coerente e migliorativo; se si ritiene di potere e/o dovere rimanere in un quadro proporzionale ha senso selezionare più coerentemente i soggetti partitici eliminando i collegi (che peraltro diventerebbero ancor più enormi, quindi meno difendibili) e innalzando la soglia di sbarramento; se si ritiene di potere/dovere fare un salto verso un maggioritario più razionale, bisogna ripartire dalla sentenza della Corte sui modelli ammissibili di doppio turno nazionale giacché quelli locali potrebbero produrre, in presenza di tre schieramenti, esiti confusi con ballottaggi diversi a seconda del territorio e, nel complesso, sia un rischio di non designare un chiaro vincitore sia quello opposto di determinare un super-vincitore. Possiamo quindi concentrarci in questa sessione, sia pure in modo non esclusivo, su queste importanti questioni di policies, senza le quali anche il dibattito di politics sui singoli soggetti sarebbe limitativo ed astratto.