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I girotondi di Dibba. «Più le domande sono complesse e più le risposte sono semplici», dice Alessandro Di Battista. E non si rende conto di aver riassunto in una frase il grande inganno che ha permesso al Movimento Cinquestelle di diventare in pochi anni, ormai con cifre superiori al 30 per cento alle ultime politiche, il primo partito italiano. Adesso, dopo che il grande polverone grillino si è depositato, svelando un gruppo di allegri “improvvisatori” senza alcuna idea della politica e dell’amministrazione, il battitore libero Di Battista fa quasi tenerezza.
E’ rimasto agli slogan pre- governo, Di Battista.
Quelli che urlava sulle scale del Campidoglio quando i 5 Stelle chiedevano l’arresto del sindaco di Roma, Ignazio Marino, presentandosi in sala stampa con le arance. O quelli dei liberatori “Vaffa” di Grillo, quando sembrava che fosse sufficiente insultare le élite per risolvere i problemi dell’Italia. Poi però la Raggi è stata eletta sindaco e le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno portato i 5 Stelle al governo assieme alla Lega, con l’ormai famigerato Contratto di governo.
E si è capito che era facile ironizzare sugli allagamenti di Roma dall’opposizione, assai meno facile era pulire le migliaia di tombini della Capitale una volta cacciato il Primo cittadino. Era facile dire «se il Movimento fa un accordo con la Lega io il giorno dopo esco dal Movimento», come fece Di Battista, salvo poi restare, perché fra il dire e il fare c’è sempre una bella differenza.
Era facile sostenere di aver trovato dieci miliardi di risparmi nelle pieghe del bilancio di Roma e promettere di utilizzarli per il trasporto pubblico, la manutenzione, la raccolta dell’immondizia. Poi però, una volta in Campidoglio, quei dieci miliardi sono spariti. Forse perché non c’erano mai stati.
Era facile far credere che si poteva dare un reddito a tutti, per il solo fatto di essere cittadini italiani, perché tanto c’erano i robot a lavorare negli stabilimento industriali.
Salvo poi dover approvare un provvedimento che al massimo è un reddito di inclusione rafforzato. Perché i conti sono implacabili e bisogna farli quadrare. I “numerini” sono tosti.
In tutto questo tempo, il dinamico Di Battista non si è sporcato le mani, trastullandosi in viaggi tropicali, sporadiche apparizioni via Skype, fino al ritorno in patria e al recente lungo silenzio poi interrotto via social.
I suoi colleghi grillini nel frattempo hanno governato Roma e l’Italia, incapaci di arrestare il declino della Capitale da un lato, e di arrestare la prorompente ascesa di Matteo Salvini dall’altro. Hanno bevuto l’amaro calice delle sconfitte alle Amministrative e poi alle Europee. Hanno capito che urlare dall’opposizione è inebriante, governare è difficile. E hanno realizzato che le domande complesse non ammettono, purtroppo, risposte semplici.
Loro lo hanno capito; chissà se pure Di Battista c’è riuscito oppure fare “il rivoluzionario” girando per il mondo ( salvo poi planare comunque a Roma) gli piace ancora tanto.