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Venerdì 22 novembre Beppe Grillo ha cenato con l’ambasciatore cinese nella residenza romana della Repubblica popolare. Non è stata la prima volta. E, presumibilmente, non sarà l’ultima. Il Movimento Cinque Stelle, del resto, è il più forte sponsor degli interessi dell’impero rosso ( un tempo “celeste”) in Italia e in Europa. Basta ricordare l’impegno profuso da Luigi Di Maio e sostenuto con vigore dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, per la concretizzazione del progetto fascinosamente chiamato “Via della Seta”, un modo esotico per nascondere ( si fa per dire) i reali interessi cinesi sull’Italia ed accaparrarsi le parti migliori della nostra economia, con un occhio sul debito pubblico italiano che Xi Jinping mira apertamente ad acquisire.
Di cosa avranno parlato Grillo ed il rappresentate cinese in Italia non lo sappiamo, ma non è difficile immaginarlo. Scartando le barzellette del comico genovese, non resta che la politica; o meglio la politica economica che vuol dire, nel lessico di entrambi, mutuo soccorso finalizzato alle esigenze del M5S e della Repubblica popolare. Uno scambio che sulla carta è alla pari, nella realtà è tutt’altro.
Se, imboccando la rapida china del l’insuccesso, i pentastellati hanno bisogno di un qualche aiuto per non precipitare del tutto, dopo aver sperimentato varie opzioni quella cinese alla fine deve essere parsa ai dirigenti e, dunque al capo supremo del Movimento, la strada più interessante da percorrere e la meno battuta da altre compagini politiche. Dunque, la Cina come orizzonte del “ maogrillismo” può davvero essere l’ancora di salvezza, o comunque la cima di salvataggio del partito che sta naufragando nell’incapacità, nelle diatribe quotidiane, nell’insufficienza della proposta politica, nel marasma delle correnti e negli errori più marchiani dovuti al dilettantismo che ben si coniuga con il velleitarismo.
La Cina, dunque, è davvero “vicina” per i pentastellati. E soprattutto ben disposta ad accontentarli ( non immaginiamo fino a che punto) purché la stella di Xi Jinping rifulga nella politica italiana grazie ad un ministro degli Esteri che improvvisamente si è innamorato del Paese dove viene praticata sistematicamente la pena di morte, dove le minoranze come gli Uiguri vengono schiacciate, dove si conducono giochi pericolosi su Hong Kong rischiando perfino la destabilizzazione dell’Asia meridionale e forse di tutto il Pacifico, dove la nomenklatura diventa sempre più ricca e potente, mentre i poveri vivono stentatamente la loro miseria nel Paese social- capitalista ( un comunismo di nuovo conio).
Paese che invece di “liberare” i popoli li soggioga: il Tibet di fatto non esiste più se non come entità territoriale, infatti è una provincia cinese dove si consumano soprusi inenarrabili, documentati da Amnesty International, ai danni dei pochi autoctoni sopravvissuti mentre la “sostituzione etnica” può dirsi completata.
Xi Jinping è il satrapo più cinico d’Oriente. Dalla sua sontuosa dimora della nuova Città proibita, dove vive insieme con gli oligarchi, pianifica il “secolo cinese” in aperto contrasto con l’Occidente, senza minimamente porsi il problema delle conseguenze che la sua egemonia comporterà sull’Europa, boccone ricco e privilegiato, dopo aver soggiogato l’Africa.
Lasciando intuire che gli sforzi saranno concentrati soprattutto nell’Africa subsahariana, nel settembre dello scorso anno Xi Jinping, aprendo il Forum on China- Africa Cooperation, ha promesso ulteriori 60 miliardi di dollari di investimenti, che includono 20 miliardi di linee di credito e fondi destinati allo sviluppo e al finanziamento delle importazioni di beni africani per 15 miliardi di dollari. Per di più, le aziende cinesi saranno incoraggiate a investire “almeno 10 miliardi” nei prossimi tre anni. E nello stesso tempo ha fatto intravedere l’ipotesi di un consistente taglio del debito per alcuni stati “particolarmente poveri”. Da un decennio il volume di scambi commerciali della Cina con l’Africa è di 170 miliardi di dollari: il maggiore partner commerciale del continente, davanti a USA e Francia.
Alla fine dello scorso anno gli investimenti cinesi hanno superato i 100 miliardi di dollari. E nessuno in Africa ha dimenticato che nel 2015 il governo di Pechino ha esonerato ben 20 Paesi africani dalla restituzione dei prestiti senza interessi. Una mossa inedita e “popolare” che ha spiazzato gli Stati Uniti soprattutto ed ha accresciuto le simpatie per i cinesi tra gli interessati. La Cina si muove in Africa sulla linea della conquista della leadership nel settore delle telecomunicazioni. Infatti ha ottenuto contratti di grande importanza con Huawei in Niger, Tanzania e Zimbabwe puntando, senza timori, a stabilire un primato tecnologico nell’area che comprende attrezzature militari di ultima generazione fornite in particolare allo Zimbabwe, al Sudan, all’ Algeria, al Camerun e alla Nigeria. La partita è con i russi su questo piano, e rischiano di soccombere dopo decenni di colonialismo militare.
Xi Jinping, che intende affermare il dominio geo- politico dalla Corea all’Africa passando per l’Asia centrale, è ben consapevole che il continente a lungo dominato dagli europei sarà “cinese” e perfino le residue enclaves del Vecchio Continente verranno abbandonate una dopo l’altra, forse “comprate” da un mercato in espansione che sembra non risentire delle ricorrenti crisi.
Le sue parole, del resto, non lasciano spazio ad equivoci: “Il mondo è sull’orlo di cambiamenti radicali. Vediamo come l’Unione europea stia gradualmente collassando e come stia rovinando l’economia americana. Tutto ciò porterà, nel giro di una decina d’anni, a un nuovo ordine mondiale, la cui chiave di volta sarà costituita dall’alleanza tra Repubblica Popolare Cinese e Russia”. È il nuovo imperialismo che avanza. L’Europa non sembra essersene ancora resa conto. Ed il Mediterraneo è un obiettivo possibile per i “conquistatori” dell’Africa alla quale i “padroni del mondo” promettevano democrazia e benessere? Certo gli spazi di libertà e di sicurezza si sono parzialmente dilati perché condizionati dalle erogazioni di aiuti economici.
Ma quanto durerà la fragile stabilità in Angola e Mozambico, in Liberia e in Sierra Leone, nella Repubblica democratica del Congo, mentre in Costa d’Avorio e nello Zimbabwe ci si massacra nell’indifferenza del mondo democratico che continua, nel contempo, a sottovalutare il jihadismo nel Corno d’Africa e la scandalosa sparizione di un popolo, i Saharawi, privi di una patria e ospiti ai margini del deserto algerino. I diritti dei popoli sono stati indecentemente calpestati in Africa e non solo. Nel nome della decolonizzazione cui è succeduta una neo- colonizzazione che punta decisamente ad utilizzare l’Africa per espandersi ben oltre i suoi confini. L’Europa, intanto, è divenuta l’ultimo rifugio di tutti i disperati. E la circostanza non è confortante per nessuno.
Dubitiamo che di questo e di altro ancora il signor Beppe Grillo abbia discusso con il proconsole a Roma di Xi Jinping. Avrà avuto i suoi buoni motivi che, sospettiamo, non coincidono con quelli del popolo italiano.