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L'affaire Richetti, esploso come una bomba a grappolo a una settimana dal voto, è un volgare spaccato del degrado in cui è scivolato il nostro dibattito pubblico, di quanto la calunnia e la diffamazione corale siano ormai diventate la modalità standard di ogni confronto politico. Una vicenda in cui tutti hanno dato il peggio di sé e in cui hanno tutti torto. In questo caso non ci interessa entrare nel merito. Il senatore di Azione fino a prova contraria è un presunto innocente e le accuse di molestie sessuali che gli sono state rivolte dovranno essere dimostrate con prove concrete. Inoltre la sensazione che sia il bersaglio di un'operazione studiata a tavolino è più che tangibile per modalità e tempistiche (lo scorso anno accadde lo stesso a Giorgia Meloni, a pochi giorni dalle elezioni amministrative, con l'inchiesta sulla "lobby nera"). Venire accostati a simili infamie è un'esperienza terribile, specie se le infamie si rivelano una montatura e per questo siamo solidali con l'accusato. Detto ciò la reazione di Richetti e dei suoi colleghi e compagni di partito alle subdole insinuazioni di Fanpage lascia davvero sconcertati perché riproduce per filo e per segno la metodologia barbarica con cui lui stesso è stato messo in mezzo. Pubblicare il nome, la fotografia e la biografia della sua presunta accusatrice non è un atto di legittima difesa, è al contrario pura gogna. Che la donna sia stata già condannata per diffamazione dall'ex marito, e che non abbia un casellario giudiziario propriamente immacolato non è un argomento che smentisce le accuse, è solo un modo per discreditarla. Che abbia poi recitato in qualche cinepanettone e qualche fiction, che sia vegana e femminista militante sono dettagli inutili e pruriginosi che servono a fare "colore" ma allo stesso tempo ugualmente funzionali all'opera di demolizione mediatica in corso. Per difendersi da accuse così gravi basta utilizzare e rivendicare gli strumenti e le garanzie dello Stato di diritto, tanto più se si tratta di una macchinazione come va dicendo Richetti da giorni e non abbiamo motivi per non credergli. Il modo scomposto con cui parte del mondo politico e diversi organi di stampa italiani stanno facendo a pezzi la donna (che, ricordiamolo, è da sola contro un intero apparato), però non è solo un'esibizione di misero bullismo. Ma anche una scelta stupida e controproducente. Perché avalla il sospetto che in questa squallida storia il senatore di Azione non sia la vittima, ma il carnefice.