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I grandi media francesi che vogliono rendere il candidato all’Eliseo Eric Zemmour «inelegibile» perché «razzista e misogino» ; il Fatto Quotidiano che lancia una petizione per fare lo stesso con Silvio Berlusconi nella sua stravagante e improbabile ascesa al Quirinale.
Eppoi: Enrico Mentana che “banna” i no- vax dai suoi telegiornali perché «non siamo al bar dello sport», seguito a ruota dalla direttrice del Tg Monica Maggioni poiché «non tutte le opinioni hanno lo stesso valore». Oltreoceano ci avevano provato con Donald Trump, nella speranza che la sua parabola politica fosse prematuramente interrotta dall’impeachment e non dal voto popolare.
Si discute tanto di cancel culture e della sua pedante crociata contro monumenti e opere che ci ricordano il nostro ingombrante passato coloniale, imperialista, sessista o che dir si voglia che fatichiamo a vederla in atto quanto mette in causa il presente, l’attuale. Forse perché colpisce i nostri avversari, o meglio i nostri “nemici” e quindi diventa automaticamente un’arma più che lecita. Se mi sfidi ti cancello!
Questa cancel culture è decisamente più perniciosa di quella che passa per i dipartimenti universitari americani o nei disclaimer dei cataloghi di Netflix e Amazon prime, perché trasforma i nostri antagonisti in subumani, li spoglia di ogni legittimità.
Non si tratta più di combattere in campo aperto idee che riteniamo odiose e/ o pericolose per la coesione sociale, di sfidare il populismo, la xenofobia, il complottismo anti- scientifico con gli strumenti della ragione e del libero confronto.
Tutt’altro: quelle posizioni non hanno diritto di cittadinanza de iure, sono ritenute estranee alla dialettica democratica e nessuno deve offrigli una platea, un microfono, uno spazio per esprimersi.
Che siano poi i giornalisti, gli autoproclamati paladini della libertà d’espressione, a mettersi in prima linea in questa spasmodica corsa alla censura farebbe sorridere se non ci fosse da mettersi le mani nei capelli.
Nella petizione anti- Berlusconi lanciata dal quotidiano di Marco Travaglio c’è un minaccioso monito rivolto a deputati e senatori i quali non solo non devono permette che il Cav diventi il prossimo presidente della Repubblica ma non devono «nemmeno pensare di farlo». Un furore giacobino pari soltanto alla totale mancanza del senso del ridicolo.
E quando sei convinto di rappresentare l’esercito del bene contro le oscure forze delle tenebre la prima facoltà che va a farsi benedire è l’obiettività, Ad esempio il primo meeting elettorale di Zemmour, astro nascente della destra identitaria francese, è stato funestato da scontri tra militanti anti- razzisti e il brutale servizio d’ordine del candidato.
Tutti i grandi organi di informazione hanno giustamente sottolineato la violenza con cui i ragazzi di Sos racisme sono stati cacciati dalla sala, gli stessi che hanno però sorvolato sul fatto che Zemmour abbia subito un’aggressione fisica ( un contestatore lo ha afferrato malamente per il collo).
Nelle stesse ore Jean Luc Mélenchon, candidato della sinistra radicale della France insoumise definiva Zemmour «nemico del genere umano», invitando i sindaci a non certificare la sua candidatura ( per la legge tansalpina ci vogliono 500 firme di 500 primi cittadini per ottenere il via libera ufficiale nella corsa all’Eliseo).
"Nemico del genere umano” è peraltro espressione biblica per indicare il diavolo, Satana, o l’Avversario per dirla con lo scrittore Emmanuel Carrère, espressioni che avremmo volentieri relegato alla vecchia propaganda della Guerra fredda o al limite a quella degli ayatollah iraniani.
Un tempo esisteva il cosiddetto arco costituzionale, al di fuori del quale galleggiavano soltanto i fascisti "appestati", oggi l’arco costituzionale è diventato un piccolo giardino che ospita i pochi virtuosi, assediati da falangi di cavalieri neri e portatori di sventura, praticamente un club privé .
Peccato che questa retorica esclusiva, oltre a svilire la contrapposizione politica, sia inefficace nell’arginare quelle idee che si è rinunciato a combattere apertamente. Al contrario non fa che fornire buoni argomenti al populismo e alle sue congreghe di rancorosi.
La Brexit, l’elezione di Trump, i successi di Matteo Salvini prima e di Giorgia Meloni poi devono molto ai goffi tentativi di censura da parte del campo “progressista”, che si tratti di media o di forze politiche, di intellettuali o giuristi.
I nemici di Eric Zemmour ci pensino bene perché non c'è tre senza quattro.