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Pierantonio Zanettin (Forza Italia)
È stato depositato ieri a Palazzo Madama il disegno di legge d'iniziativa del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin per vietare l’utilizzo dei trojan nel contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione.
Il trojan, il virus informatico che trasforma il cellulare in un microfono sempre accesso, registrando così tutto ciò che avviene nel raggio di diversi metri, era stato inizialmente previsto, nel 2017, dall'allora ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd) per i reati di mafia e terrorismo.
Nel 2019, con la legge Spazzacorrotti voluta dal Guardasigilli grillino Alfonso Bonafede, il suo utilizzo venne esteso anche ai reati contro la pubblica amministrazione.
Il suo utilizzo è cresciuto in maniera esponenziale nell'ultimo anno. Solo a Napoli c’è stato un boom con centinaia di “inoculazioni” a costi sono proibitivi. La Procura partenopea, diretta fino a qualche mese da Giovanni Melillo, spende, solo per il canone di noleggio, 245 euro al giorno se si tratta di un Iphone e 175 per un cellulare con sistema Android. Dal momento che l’ascolto medio supera i 40 giorni, si comprende bene come per poter utilizzare tale strumento investigativo si possano tranquillamente spendere cifre nettamente superiori a quelle per le quali vengono attivate le indagini. Il trojan, oltre agli smartphone, può poi essere installato sulle smart TV, sui tablet, e sui pc.
«Con tale strumento viene registrata la vita privata, i gusti commerciali, l’orientamento sessuale, le preferenze sessuali. Ne vale la pena per il traffico di influenze o altri reati di questa natura. Chi conserverà questi dati? Che uso ne farà? Quali garanzie avranno i cittadini di un utilizzo corretto di questi dati?», afferma il senatore Zanettin.
Un uso “distorto” del trojan è avvenuto nel Palamaragate. «Le captazioni - precisa Zanettin - sono intervenute in relazione a una ipotesi di reato, quella della corruzione (a carico di Luca Palamara, ex presidente dell’Anm, ndr), che la stessa Procura di Perugia che ha proceduto ammette e assume avvenuta molto tempo fa. Le loro trascrizioni, che dovevano rimanere segrete, sono invece finite su tutti i giornali prima ancora che venissero chiuse le indagini».
«In conseguenza di quelle intercettazioni, ben sei componenti dell’organo di autogoverno della magistratura, sotto una pressione mediatica e in taluni casi, almeno a mio giudizio - modesto, ma a mio giudizio - per comportamenti che reputo veniali, sono stati costretti alle dimissioni», puntualizza Zanettin, secondo cui «la composizione di quell’organo è stata alterata, anche, se vogliamo, sotto il profilo politico. Ecco, quella del Csm in carica è una vicenda piccola, circoscritta, ma, a mio giudizio, può essere paradigmatica di quali effetti distorsivi negli assetti democratici può avere l’utilizzo di metodi così invasivi».
«Io credo - aggiunge - che un mezzo così pervasivo andrebbe utilizzato con la massima cautela e per questo ritengo che il Parlamento abbia sbagliato a introdurre l’utilizzo del trojan anche per i reati contro la pubblica amministrazione e allargare a dismisura l’utilizzo in generale di questo strumento dal carattere così pervasivo: noi stiamo vivendo una notte della ragione, una notte dello Stato di diritto».
La Corte costituzionale, a proposito dello Spazzacorrotti, è già intervenuta per le modifiche dell’articolo 4 della legge Gozzini. Mentre la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 31064 del 2020, proprio riguardo al trojan, ha affermato che vada escluso un suo utilizzo riconducibile agli strumenti di pressione sulla libertà fisica e morale il cui uso è vietato dall’articolo 188 del codice di procedura penale.
«Le finalità sbandierate dall’allora ministro della Giustizia Bonafede in ogni occasione circa l’utilizzo di tale strumento investigativo hanno, invece, avuto come conseguenza la difesa del teorema davighiano per cui non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove», ricorda sempre Zanettin, stigmatizzando allora il fatto che «indagando dal buco della serratura ogni più intimo aspetto di un politico, si potranno raccogliere le prove per incastrarlo e che mancavano all’epoca in cui l’ex consigliere Piercamillo Davigo pronunciò quelle sue parole».
«Ma come scegliere i politici da indagare rimarrà un punto di domanda, un punto interrogativo grande come un macigno, che inquieta il futuro di questa nostra democrazia», conclude quindi il parlamentare vicentino. Contrari, ovviamente, ad ogni modifica i pentastellati che hanno espresso la loro posizione per bocca dell’ex procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho.