Le donne non sono più soltanto un bottino di guerra. Peggio: sono il terreno sul quale oggi si combattono i conflitti. Ad ogni latitudine, in ogni parte del mondo in cui il corpo delle donne è ancora usata come arma. Perché sono le donne, nelle zone di guerre, a pagare il prezzo più alto. Senza alcun bisogno di stilare una gerarchia del dolore tra le popolazioni civili che ne subiscono le conseguenze più drammatiche.

È questo il messaggio che la senatrice Susanna Donatella Campione ha voluto rilanciare a una manciata di giorni dal 25 novembre. Componente della commissione Giustizia di Palazzo Madama e della delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare dell’Osce, la parlamentare di Fratelli d’Italia è impegnata in una battaglia mirata a disciplinare l’uso della violenza sessuale come strumento di guerra. Una battaglia nazionale e internazionale, che si declina nel nostro Paese con un disegno di legge attualmente all’esame dalla commissione Giustizia. Un testo che riflette l’impegno assunto lo scorso luglio con il via libera della commissione politica dell’Osce alla risoluzione presentata da Campione.

«La violenza sulle donne in contesti guerra è una piaga antica come il mondo, ma solo in tempi recenti è stata considerata come un crimine contro l’umanità», spiega la senatrice avviando i lavori del convegno sul tema che si è tenuto ieri a Palazzo della Minerva. Tra le convenzioni internazionali che trattano il tema, Campione mette in evidenza quella di Lubiana del 2024, che invita gli Stati aderenti ad adottare norme proprie e specifiche sul tema e a cooperare sul piano giudiziario per poter indagare e processare questi crimini. Di qui l’iniziativa della senatrice: il testo della nuova norma delinea il reato all’interno del nostro ordinamento come crimine universale. Rendendo possibile perseguirlo anche quando viene compiuto da un cittadino italiano all’estero, o da un cittadino straniero all’estero, ogni volta che l’autore del crimine fa ingresso nel nostro territorio.

Un’urgenza messa in luce anche dai relatori del convegno, tra i quali Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato. «La violenza sulle donne è atroce per tutte. L’errore sta nello stabilire la gerarchia della violenza considerata più atroce», sottolinea la senatrice della Lega. Che auspica un sostegno trasversale e bipartisan a questo progetto, come già è accaduto in altre occasioni, e in particolare per la norma promossa da Bongiorno che ha introdotto il reato di stalking. «Quella legge viaggiò con la spinta di tutte le donne, che devono essere unite. Sarebbe un errore pensare di fare una legge soltanto per una parte di donne che oggi stanno subendo violenze sessuali. Ci sono da sempre, è vero, ma ora c’è un’escalation sul senso che hanno le violenze sulle donne: diventa uno sfregio, una volontà di uccidere due volte», spiega Bongiorno. Che considera necessaria la legge promossa dalla senatrice Campione anche per un motivo “tecnico”: «Se il nostro ordinamento non ha strumenti per perseguire un fatto, allora quel dato fatto non è più di competenza dell’Italia. E noi non possiamo permetterci di perdere pezzi di giurisdizione», conclude la senatrice.

Prima del suo intervento, in collegamento, l’intervento di Hamda bint Hassan Al Sulaiti, vice presidente del parlamento del Qatar, che ha raccontato le storie di dolore e abusi subiti dalle donne palestinesi. A condividere l’approccio di Campione anche il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Ue. Il quale ha passato in rassegna gli strumenti che il diritto internazionale e consuetudinario mette a disposizione per perseguire questi crimini, che riflettono «la violenza organizzata sulle donne per distruggere l’identità di interi popoli». Non soltanto per punire tali reati, ma anche per prevenirli.

A chiudere l’evento il senatore Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia. Al quale sono affidate le conclusioni sui lavori in corso sul testo di Campione, con l’auspicio che il nostro patrimonio giuridico possa essere «un faro per l’umanità».