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L'interessamento di Paolo Borsellino nell'indagine su mafia-appalti, avviata su spinta di Giovanni Falcone e condotta dagli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno; la sua probabile scoperta di alcuni servi infedeli dello Stato all’interno della procura di Palermo definita da lui stesso un “nido di vipere”. L'indagine contestuale svolta dal giudice Augusto Lama di Massa Carrara, affiancato dal suo braccio destro, il maresciallo della Guardia di Finanza Franco Angeloni, che avrebbe dovuto incrociarsi (ma non accadde nel biennio 91-92) con il dossier mafia-appalti avendo punti di contatto in comune. Quali? Personaggi chiave come i mafiosi Antonino Buscemi e Giuseppe Lipari che - ha osservato con indignazione l'avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Borsellino, indicando le dichiarazioni passate di diversi pentiti come Angelo Siino e Giovanni Brusca – avrebbero goduto di coperture quando Borsellino era ancora in vita. Il primo sospettato è l'allora procuratore capo Pietro Giammanco ed eventuali suoi sottoposti.
Questo e altro è stato presentato per la prima volta, dopo 31 anni di depistaggi anche mediatici, in prima serata su Rai Tre nel nuovo programma “Far West” condotto da Salvo Sottile. Una ricostruzione che ha messo in fila i fatti nudi e crudi, senza alcuna suggestione, come purtroppo è abituata l'opinione pubblica, ma attraverso testimonianze autorevoli e fonti documentali. Molto interessante e significativa l'autorevole testimonianza del procuratore generale Luigi Patronaggio, che non solo ha ricordato il clima ostile sotto la procura guidata da Giammanco, ma ha anche confermato ciò che disse al Csm una settimana dopo la strage di Via D'Amelio: i rilievi di Borsellino durante la sua ultima riunione del 14 luglio 1992 sulla conduzione del dossier mafia-appalti, facendosi ambasciatore delle lamentele dei Ros. Il pg antimafia Patronaggio ha anche ricordato di essere stato uno dei due pm di turno il giorno della strage. L'avvocato Trizzino, presente in studio con il giornalista di Repubblica Lirio Abbate, ha osservato che Patronaggio e altri magistrati non sono mai stati sentiti dalla procura nissena, nonostante le loro testimonianze significative e utili per le indagini.
Come, d'altronde, non è mai stato sentito il giudice Augusto Lama di Massa Carrara. Per la prima volta, anche lui è stato intervistato in un programma nazionale in prima serata. Eppure è una testimonianza fondamentale per comprendere le cause delle stragi mafiose. Alla domanda, posta dal giornalista di “Far West”, se la morte di Borsellino sia legata al suo interessamento sul rapporto tra mafia e grande imprenditoria, il giudice Lama risponde senza mezzi termini: «Io penso proprio di sì, anche considerando la forza di quello che dovetti subire io, il tentativo di delegittimarmi credo che dimostrasse l'importanza di questo mio filone di indagine». Sì, perché come ha spiegato sempre Lama, durante la sua indagine si crearono problemi e fughe di notizie, tanto da determinare l'intervento dell'allora ministro della Giustizia Claudio Martelli. Finì sul mirino di un'indagine ministeriale, ma anche se non portò a nulla fu costretto ad astenersi dalle indagini. «Il mio procuratore di allora», prosegue sempre Lama, «trasmise il fascicolo alla procura di Palermo, che poi, come ho saputo, ha archiviato insieme alla prima informativa su mafia-appalti degli ex Ros (il dossier parlava anch'esso dei Buscemi e degli interessi con la Ferruzzi Gardini, ndr) che sarebbe dovuto confluire con le mie stesse indagini».
Per capire meglio,cerchiamo di inquadrare il contesto, come documentato dal programma condotto da Sottile. Siamo agli inizi degli anni 90. Mentre era già stato depositato il dossier mafia-appalti, dove, appunto, compariva anche la Calcestruzzi Spa, ovvero il colosso delle opere pubbliche, leader italiano del settore posseduto dall'ancora più potente famiglia Ferruzzi e controllato da Totò Riina, come confermò il pentito Leonardo Messina a Borsellino, arrivò sul tavolo della procura di Palermo il secondo fascicolo, quello appunto di Augusto Lama. Cosa aveva scoperto grazie alla tenacia investigativa del maresciallo Angeloni? Intuì il legame tra la mafia siciliana e il gruppo Ferruzzi-Gardini, all'epoca proprietario di Sam e Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara. All'epoca Gardini ebbe dall'Eni un'offerta di favore. Il primo grande affare si presentò con un contratto per la desolfazione delle centrali Enel, per cui il carbonato di calcio di Carrara era essenziale. Il valore del contratto era di tremila miliardi di lire di allora. Eravamo alla fine degli anni Ottanta. Ma poi, invece, tutto precipitò.
A Carrara, le cose non andavano bene. Antonino Buscemi aveva preso il controllo delle cave e a gestirle aveva mandato il cognato, Girolamo Cimino. Più un altro parente, Rosario Spera. I siciliani cominciarono a porre condizioni vessatorie ai cavatori, che trovarono come unico difensore il loro presidente onorario, il comandante partigiano della zona, Memo Brucellaria. Fu allora che il procuratore Augusto Lama cominciò ad indagare. Attraverso quelle intercettazioni, come documenta il maresciallo Angeloni nel suo libro “Gli anni bui della Repubblica”, era possibile sentire una certa agitazione del management del gruppo Ferruzzi, per avere appreso che vi erano delle indagini di mafia a carico di Antonino Buscemi, socio per l'appunto del gruppo Ferruzzi. Inoltre, sembrerebbe emergere che qualcuno appartenente a un'autorità giudiziaria era giunto da Palermo a dare tale informazione. Interessante la testimonianza del maresciallo riportata durante la trasmissione “Far West”. Angeloni afferma di aver inviato circa 27 bobine di intercettazioni alla procura di Palermo. Come mai non le hanno ritenute di interesse? Non si comprende se sono quelle, come risulta dall'atto di provvedimento della procura di Palermo del 25 giugno 1992, di cui si dispone la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci delle intercettazioni. Fatto sta che da poco sono state ritrovate alcune bobine nei meandri della procura palermitana. Ora toccherà alla procura nissena ricostruire il quadro.
Ma si tratta di un quadro, come ha ben spiegato l'avvocato Trizzino in trasmissione, che in realtà era abbastanza delineato almeno venti anni fa. Si è perso troppo tempo. Per 31 anni siamo stati abituati a sentire narrazioni fantasiose e inconcludenti, ma molto accattivanti. Penso, ad esempio, a Report, che ha trattato l'omicidio di Paolo Borsellino come se fosse una trama della serie anni 90 “X-Files”. Per la prima volta, in prima serata t, hanno raccontato i fatti nudi e crudi sconosciuti all'opinione pubblica. Una rivincita soprattutto per quelle persone perbene come il magistrato Augusto Lama, costretto a occuparsi di civile, oppure come il maresciallo Franco Angeloni che ha servito il Paese senza compromessi, o Mario Mori finito nel tritacarne giudiziario per oltre un ventennio. La procura di Caltanissetta sta indagando, mentre la commissione antimafia presieduta da Chiara Colosimo va avanti con le audizioni. Forse sarebbe necessario che venga audito anche Augusto Lama.