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Luca Palamara non indossa più la toga da circa quattro anni, dopo essere stato rimosso disciplinarmente dalla magistratura, ma le sue chat continuano ad influenzare l’attività del Csm. Gli ormai celebri “messaggini” che l’ex potente presidente dell’Anm scambiava freneticamente ogni giorno con centinaia di colleghi rischiano adesso di condizionare la nomina del nuovo procuratore di Reggio Calabria. In pole per prendere il posto di Giovanni Bombardieri, nominato procuratore di Torino, vi è Giuseppe Borrelli, attuale procuratore di Salerno, molto stimato dal capo dell’Antimafia Giovani Melillo. Il nome di Borrelli compare spesso nelle chat di Palamara con il quale condivideva l’appartenenza ad Unicost, la corrente centrista delle toghe.
La storia di questi messaggini, per la cronaca, nel 2022 venne raccontata anche nel libro “Lobby e Logge”, scritto da Palamara con il direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Borrelli, nella primavera del 2019, pochi mesi prima che esplodesse lo scandalo dell’hotel Champagne, aveva fatto domanda per diventare procuratore di Perugia, posto in quel momento occupato da Luigi De Ficchy, il quale aveva aperto da tempo un fascicolo proprio a carico di Palamara. Temendo qualche sgambetto al Csm, come spesso capita, Borrelli aveva deciso di confidarsi con il pm napoletano Cesare Sirignano. Quest’ultimo, racconta nel libro Palamara, «evidentemente su sollecitazione dello stesso Borrelli, inizia a tempestarmi di richieste di incontri».
I messaggi e gli incontri vengono però registrati dal trojan inserito nel suo cellulare dal Gico della guardia di finanza su ordine dei pm di Perugia che sospettano un giro di corruzione, poi rivelatosi un tarocco, dietro le nomine al Csm. Uno di questi incontri, quello del 7 maggio 2019, venne interpretato dagli inquirenti, ricordò Palamara, più o meno così: «Caro Luca, la procura di Perugia sta indagando su di te, se ci va Borrelli potrà darti una mano». Quando a fine maggio di quell’anno l’indagine a carico di Palamara finisce sui giornali e le intercettazioni quasi interamente pubblicate a seguito di una fuga di notizie di cui non si è mai scoperto l’autore, «Borrelli perde la testa e tende una trappola a Sirignano». Il primo giugno, prosegue Palamara, Borrelli «per salvarsi, con una scusa convoca Sirignano» nel suo ufficio, dopo aver predisposto delle cimici nella stanza per registrarlo di nascosto.
Mentre è in corso il colloquio “chiarificatore” fra i due magistrati, arriva sul telefono di Borrelli la telefonata della vicedirettora del Corriere della Sera, «molto ben introdotta nelle dinamiche della magistratura». La giornalista, in particolare, lo informa dell’esistenza di una conversazione intercettata, e all’epoca coperta dal segreto istruttorio (verrà depositata al Csm alle ore 19 del giorno precedente, ndr) tra Palamara e Sirignano dove il primo sosteneva che se «Borrelli fosse effettivamente andato alla procura Perugia (deputata a indagare sui magistrati di Roma), mai avrebbe aperto un procedimento contro Paolo Ielo (il braccio destro di Giuseppe Pignatone)». Ielo in quei mesi era oggetto di un esposto al Csm, scritto dall’allora pm Stefano Rocco Fava, sulla mancata inchiesta nei confronti dell’avvocato esterno di Eni Pietro Amara, noto ai più per aver rivelato l’esistenza, alla prova dei fatti un altro tarocco, la loggia Ungheria. Sirignano, aggiunse la giornalista, gli avrebbe così risposto: «No, no, ci ho parlato, lo farà». Borrelli, terminata la conversazione, chiese subito conto di ciò a Sirignano che però smentì. Borrelli, comunque, decise di fare lo stesso denuncia al Csm contro Sirignano.
Quest’ultimo, per difendersi, recuperò allora la bobina con il colloquio registrato a trabocchetto per effettuarne la trascrizione integrale al termine della quale, con sorpresa di tutti, emerse che la frase corretta era invece stata: «Non so se lo farà». Nonostante ciò, il Csm aveva lo stesso deciso di trasferire Sirignano, dopo una vita passata in prima linea nel contrasto ai feroci Casalesi, alla Procura di Napoli Nord. «Sono tutte scorie lasciate da chi ha trasformato la notte dell’hotel Champagne in un crimine, quando invece era prassi condivisa», scrisse - profetico - Palamara nel libro.