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Renato Vallanzasca è stato trasferito in una Rsa agli arresti domiciliari perché diventato incompatibile con il regime carcerario per gravi problemi di salute. Lo ha disposto il tribunale di Sorveglianza di Milano, dopo l’istanza dei suoi difensori: i giudici hanno riconosciuto il decadimento cognitivo dell’ex boss della mala milanese condannato a 4 ergastoli e in prigione da oltre mezzo secolo.
Nell’udienza di tre giorni fa, lo stesso pg di Milano Giuseppe De Benedetto si era associato al parere di avvocati e medici chiedendo al tribunale il differimento della pena perché risultava «accertata la condizione di demenza» di Vallanzasca e la sua «incompatibilità conclamata» con il carcere.
I segnali di decadimento cognitivo sono iniziati da gennaio del 2023: Vallanzasca non è più autosufficiente e non riesce a esprimere un ragionamento compiuto. Una condizione «incompatibile con il carcere», non attrezzato ad accogliere e sostenere una persona con demenza, e che non gli consente «neppure di percepire la finalità della reclusione e il senso della pena» sostiene la difesa, rappresentata dagli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi. In aula, Muzzi ha ricordato come la detenzione rappresenti «un fattore peggiorativo delle condizioni cliniche» di fronte a una malattia, certificata da più medici, che è una spirale verso il basso.
Ora Vallanzasca, con l’ok del Tribunale della Sorveglianza, potrà essere trasferito nella struttura residenziale per persone affetta da Alzheimer in provincia di Padova, la più grande del Veneto, individuata dai legali. «Questa struttura legata alla Chiesa lo ha visitato e ha ritenuto Vallanzasca affetto da una patologia gravissima. Per rispetto dei principi di umanità, questa è l’unica alternativa possibile al carcere. Non c’è nessun impedimento perché accada: Vallanzasca non può essere considerato pericoloso, usufruisce di permesso premio ormai da due anni, e non ha nessun collegamento con la criminalità esterna. Penso che ci siano tutti gli strumenti per continuare la detenzione in un posto in cui malattia possa essere tenuta sotto controllo» aveva sostenuto l’avvocato Limentani. Parole che i giudici, vista la decisione, sembrano condividere.