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Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri
La notte del 9 gennaio 2018 non è una notte come le altre per Valentino Zito. È una notte di paura e speranza, mentre torna a casa, a Crotone, a bordo di un autobus. Ha passato gli ultimi giorni in ospedale, lontano dalla Calabria, dove il diritto alla salute è un optional. Lo ha fatto per assistere sua figlia, la piccola Marta (nome di fantasia), che ha appena subito un trapianto di midollo. Ha solo cinque anni e non sa niente di quello che sta accadere a suo padre.
A raccontare la sua storia è l’avvocato Francesco Verri, suo difensore assieme al collega Enzo Ioppoli. Zito, socio amministratore dell’omonima casa vinicola, sta per essere ammanettato. Per strada, davanti ad altre decine di persone che, come lui, hanno scelto l'autobus per percorrere mezza Italia, ognuno per le sue ragioni. Zito deve arrivare a Cirò e non sono previste soste prima che il pullman raggiunga la Calabria. Ma ad un certo punto il mezzo si ferma e a bordo salgono i Carabinieri. Cercano proprio lui, i cui occhi sono rimasti incollati al vetro che lo separava da Marta, in un ospedale. Deve scendere, perché, gli dicono degli uomini il cui volto è coperto da passamontagna, è in arresto. Zito attraversa il mezzo con lo sguardo degli altri puntato addosso. Altrove, intanto, a Cirò, mille militari stanno ammanettando mezza provincia, compreso suo fratello Francesco. «Né il papà di Marta né il fratello sono uomini pericolosi - spiega Verri -. In famiglia fanno vino da generazioni. Solo questo. Non rapine». Valentino e Francesco Zito sono finiti nella rete dell’operazione Stige, come il fiume dell’odio che attraversa gli inferi. Crotone è l’inferno, dunque. E loro sono parte di quel fiume. Provano a difendersi dalle accuse, a spiegare la loro posizione, ma non vengono creduti. Secondo la Dda, avrebbero agevolato le cosche di Cirò accettando la richiesta di due presunti capi clan di produrre delle bottiglie di vino per conto loro. Una cosa che i fratelli Zito fanno da anni, anche per la grande distribuzione. Così imbottigliano il vino e lo consegnano come da prassi, emettendo fattura. Ma i due presunti ‘ndranghetisti non pagano. Secondo la procura, tra gli imprenditori e il clan c’è un patto: fanno affari insieme. Sono soci. Ma di fatto si tratta di un vero e proprio furto.
Gli avvocati, spiega Verri, consegnano ai giudici «una valigia piena di documenti, testimonianze, conti». Spiegano che non c’è stata nessuna cointeressenza sulle vendite successive, che le intercettazioni confermano tutto. E la consulenza stabilisce che il vino è stato prelevato, ma ma il conto non è mai stato saldato. Insomma, sono stati costretti a consegnare il vino. Il Riesame, che li ascolta a notte fonda, decide di farli uscire dal carcere, dopo un mese, ma li manda ai domiciliari. Gli avvocati, allora, portano tutto in Cassazione, dove i giudici annullano la misura cautelare senza rinvio per Francesco, con rinvio per Valentino. Che deve tornare davanti al Tribunale della Libertà per sentirsi dire, finalmente, che non c’è gravità indiziaria. Anzi, c’è il rischio, scrivono i giudici, che queste due persone siano vittime. Ci sono voluti sei mesi, ma ora sono due uomini liberi.
«I Carabinieri in quella notte d‘inverno non si sono presi solo loro e il tempo che il papà di Marta dovrebbe passare con Marta - spiega ancora Verri -. Hanno sequestrato anche l’azienda e il vino. I due fratelli sono prigionieri e inoltre, di colpo, non hanno più niente. Ma dopo la sentenza che arriva da Roma anche la società torna libera». L’Incubo è finito, dunque? Non del tutto. Francesco Zito, in udienza preliminare, sceglie il rito abbreviato. Ed esce subito dal processo: prosciolto perché il fatto non sussiste. Dovrebbe bastare per smentire ogni connivenza. Ma no, Valentino, che sceglie il rito ordinario per spiegare ancora meglio alcune circostanze, viene rinviato a giudizio. «In dibattimento portiamo numerosi elementi favorevoli - sottolinea Verri - e riusciamo a dimostrare anche ulteriori circostanze. Ma il Tribunale di Crotone, sorprendentemente, lo condanna a 12 anni di reclusione. Dico sorprendentemente perché il Riesame ha escluso i gravi indizi, l’azienda è stata dissequestrata, il che significa che non c’è il fumus del reato, ma soprattutto la sentenza relativa al fratello, passata in giudicato, ha stabilito che il fatto non sussiste». Il Tribunale condanna tutti i colletti bianchi. E a Valentino Zito tocca affrontare un ulteriore processo, che vede la fine il 10 novembre 2023.
«Abbiamo dovuto aspettare una piovigginosa sera d’autunno per sentire la parola in nome della quale Valentino Zito ha resistito, ha combattuto con i suoi avvocati, non ha mai smesso di sperare - conclude Verri -. Per sentire la parola assolto. La pronuncia la Corte d’Appello di Catanzaro che butta giù una sentenza sbagliata. Il papà di Marta può tornare da Marta senza temere di doverla abbracciare per l’ultima volta prima di rivederla fra dodici interminabili anni. Finalmente dormirà senza svegliarsi di soprassalto e quell’autobus smetterà di fermarsi, nei suoi incubi ricorrenti, in mezzo ai lampeggianti dei Carabinieri».