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Alex Schwazer gara di addio atletica ad arco
Il ritorno alle corse di Alex Schwazer è coinciso anche con il suo addio allo sport. Dopo la lunghissima squalifica a otto anni inflittagli dal Tribunale Arbitrale dello Sport nell’agosto del 2016 per doping, il 19 luglio scorso l’atleta ha raccolto amici e tifosi ad Arco Garda Trentino, per la sua ultima 20 km. L’ultima prova di forza, non solo fisica, ma anche umana, dopo il no che ha fatto svanire il sogno di partecipare alle Olimpiadi di Parigi. Una beffa, perché la squalifica, come certificato da un giudice, si basa su un presupposto falso: l’uso di sostanze dopanti, che invece non c’è stato.
A febbraio 2021, la verità che tante volte aveva urlato è stata certificata. L’atleta non era ricaduto nel vortice del doping. Non aveva mentito quando, dopo lo scandalo che gli costò le Olimpiadi di Rio, giurò solennemente di non aver fatto nulla, di essere pulito, di essere innocente. E lo è davvero, come stabilito dal gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, che a cinque anni dallo scandalo ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a suo carico per «non aver commesso il fatto». Anzi, a suo danno si era azionata una macchina del fango impressionante. Una gogna insensata, inutile, che ha fatto cadere l’atleta dal cielo stellato degli sportivi agli inferi degli emarginati.
Trattato da reietto, nonostante la riabilitazione dopo lo scandalo della prima squalifica per doping. Era successo nel 2012, quando alla vigilia delle Olimpiadi di Londra venne trovato positivo all’eritropoietina dopo un controllo a sorpresa effettuato dalla Wada. Schwazer ammise in lacrime il suo errore e in un attimo si ritrovò congedato dall’arma dei Carabinieri e squalificato per 3 anni e 6 mesi. Nel 2016, dunque, si affidò a Sandro Donati, maestro dello sport e da sempre schierato contro il doping, preparandosi per l'Olimpiade di Rio. E ricominciò a vincere: la prima medaglia fu alla 50 km di marcia, con lo strepitoso tempo di 3 ore e 39 minuti esatti. Ma il 22 giugno 2016 venne dichiarato nuovamente positivo, dopo un controllo a sorpresa della Iaaf effettuato il primo gennaio. Secondo quel controllo, nel suo corpo c’era una quantità troppo alta di anabolizzanti e steroidi. E Il 10 agosto, poco prima della 20 chilometri di Rio, il Tas lo condannò a rimanere otto anni fuori pista, di fatto sancendo la fine della sua carriera.
Ma l’architrave, assolutamente instabile, del processo è caduta fragorosamente, una fine anticipata dalla richiesta della Procura di Bolzano, a dicembre 2020, di archiviare le accuse rivolte all’ex marciatore azzurro, campione olimpico della 50 km di marcia a Pechino 2008. «Alex Schwazer - si legge nell’ordinanza - non ha fatto uso di doping, anzi, le sue urine risultate positive sono state alte- rate».
Il caso vede coinvolte l’agenzia mondiale antidoping (Wada), la federazione mondiale di atletica leggera (World Athletics, ex Iaaf) e il laboratorio antidoping di Colonia, dove le provette del controllo sono rimaste dal 2 gennaio 2016 fino al febbraio 2018 quando, a fatica, sono state consegnate alle autorità italiane incaricate al prelievo. Per il giudice, quei campioni di urina sono stati, «con un alto grado di credibilità», alterati, «con lo scopo di risultare positivi» così da «ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore Sandro Donati».
Per il giudice, sussistano dunque «forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati», motivo per cui ha restituito gli atti al pm, per verificare le ipotesi di «falso ideologico», «frode processuale» e «diffamazione» ai danni dell’atleta. Una «serie impressionante di artifici e dichiarazioni false», secondo il giudice, che rivolge accuse pesanti nei confronti di Wada e World Athletics: «Nell’odierno sistema Wada e Iaaf (oggi World Athletics) operano in maniera totalmente autoreferenziale ed il presente procedimento ha eloquentemente dimostrato come esse non tollerino affatto controlli dall’esterno ed anzi siano pronte a tutto per impedirlo, al punto di produrre dichiarazioni false e porre in essere frodi processuali».
Nessuna garanzia per gli atleti rispetto ai «peggiori intrallazzi », scrive il gip, secondo cui i suoi periti hanno mostrato «alterigia baronale» e «pressapochismo». Non c’è la «pistola fumante», ma comunque prove evidenti della manipolazione. In primo luogo perché i campioni di urine non erano anonimi, né sigillati e non furono consegnati subito dall'ispettore, rimanendo per diverse ore a Stoccarda. Colonia, inoltre, mentì sulla quantità (6 ml invece di 18) per sfuggire all'obbligo di consegnare un campione per la perizia, salvo poi tirare fuori una terza provetta spuntata dal nulla e non chiusa. Ma non solo: nelle mail tra il capo dell'antidoping Iaaf, Thomas Capdevielle, e il consulente legale della Iaaf, Ross Wenzel, ottenute a seguito di un’operazione di hackeraggio da parte da Fancy Bear, il primo parla espressamente di «complotto verso A. S. di cui il laboratorio di Colonia è parte».
Nelle provette è stata inoltre riscontrata una eccessiva e anomala concentrazione di Dna, giustificabile, per il gip, solo con un tentativo di manipolazione, attraverso il riscaldamento delle provette per far evaporare l’acqua dalle urine e aumentare, così, la concentrazione di testosterone. Le ragioni del complotto, aveva spiegato al Dubbio Gerhard Brandstädter, legale dell’atleta, stanno tutte nella paura di altre indagini sul mondo «corrotto » dell’antidoping, la certezza che Donati «aveva tutta una serie di informazioni e notizie e aveva collaborato anche a smascherare certe attività del doping, testimonianze che l’atleta ha reso, insomma: rendere poco credibile il team Schwarz, metterlo fuori gioco. E sappiamo cosa è successo a Sochi. Donati e Schwazer potevano dare un contributo importante, ma sono stati attaccati per renderli inattendibili. Un attacco di politica sportiva». Teoria che il gip avalla: il controllo a sorpresa fu deciso il 16 dicembre 2015, giorno in cui Schwazer testimoniò contro i medici della federatletica italiana, accusati di consigliare doping agli atleti.
L’inchiesta sulla presunta manipolazione delle provette e sulla produzione di prove false da parte dei consulenti della Wada e della Iaaf si è chiusa però nel 2023 senza accuse: il pm Igor Secco ha infatti ritenuto che non ci fossero prove sufficienti per sostenere le accuse. In particolare, l'indagine sul laboratorio di Colonia non ha portato a riscontri concreti, e le accuse di manipolazione dei campioni non sono state considerate fondate. Anche riguardo i consulenti delle parti civili, il pm ha deciso di archiviare il caso, poiché non è stato accertato che avessero agito in malafede o falsificato i dati.
Dopo la decisione del gip di Bolzano, Schwazer aveva sperato di poter tornare in pista, puntando alle olimpiadi di Parigi. Un sogno che il Tas ha però distrutto, respingendo la richiesta di sospendere la squalifica per doping, che sarebbe scaduta solo dopo la fine dei Giochi Olimpici di Parigi del 2024, impedendogli di partecipare alle qualificazioni. E distruggendogli definitivamente la carriera, nonostante la sua innocenza.