«Ci troviamo di fronte ad un caso emblematico di quella espansione del ruolo del Consiglio superiore della magistratura secondo la prassi e oltre la lettera della Costituzione e della legge. Come Consiglio superiore interloquiamo con il Parlamento in una materia nella quale il Parlamento ha la più ampia discrezionalità contemplata dal nostro ordinamento costituzionale e limitata solo dai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. Di questo dobbiamo essere consapevoli. Anche perché, aggiungo, la contemporaneità del dibattito in questo Consiglio che abbiamo voluto e ricercato con il dibattito che si sta svolgendo in Parlamento rischia di far apparire quest’organo come un organo di rappresentanza corporativa». È questa la premessa della relazione di Felice Giuffrè, laico del Csm sostenitore della proposta B, ovvero il parere favorevole alla riforma della separazione delle carriere in quelle stesse ore in Aula alla Camera. A Palazzo Bachelet è si è votato oggi sui due pareri contrapposti, non richiesti dal ministro, ma attesi dal Parlamento - «dove la nostra discussione sarà ascoltata e il nostro parere letto» -, aveva chiarito in mattinata il consigliere di Area Marcello Basilico, secondo cui il Csm non poteva esimersi dal fornire il proprio punto di vista su una riforma «che cambia il volto della magistratura». E per una volta, in Consiglio, le toghe erano tutte d’accordo nel dire no ad una modifica che istituirà due diversi Csm. La votazione si è conclusa con 24 voti a favore della proposta A contro i quattro per la proposta B. In Parlamento, dunque, arriverà il parere che boccia la riforma, ma che sembra già ininfluente, nelle logiche del dibattito parlamentare. E così, a parte qualche spunto per le opposizioni, la riforma dovrebbe passare senza alcuna complicazione. Un rischio per la magistratura, che finirebbe sotto il controllo della politica, secondo i critici, mentre per Giuffrè la proposta non solo è coerente con una visione costituzionale evolutiva, ma risolverebbe le ambiguità lasciate dalla Costituzione del 1948.

«La riforma si muove nel solco di una naturale evoluzione dell’ordinamento costituzionale, riallineandolo ai modelli liberal-democratici occidentali», ha dichiarato Giuffrè, una risposta alla maturazione del modello accusatorio, sancito dall’articolo 111 della Costituzione. «La proposta chiude una parabola storica, sciogliendo le contraddizioni che per troppo tempo hanno segnato la posizione del pubblico ministero sul piano costituzionale e processuale», ha evidenziato, scontrandosi con una visione totalmente diversa, quella sostenuta dalla mozione A. «Questa relazione - ha commentato Basilico - non spende una parola per spiegare perché questa riforma migliorerebbe la giustizia». Una riforma, ha evidenziato il togato Eligio Paolini, di Magistratura indipendente, che rischierebbe di indebolire la cultura giurisdizionale unitaria e avvicinare il pubblico ministero agli organi di polizia giudiziaria. Per altri, invece, il rischio è un altro: quello di finire sotto il tacco dell’esecutivo. «La Corte costituzionale - ha sottolineato l’indipendente Roberto Fontana - ha evidenziato come dal nuovo articolo 111 non discenda in alcun modo la necessità di una separazione: l’assetto attuale è compatibile sia con una separazione delle carriere, sia con un regime di unicità». E i passaggi tra funzioni sono ridotti e irrilevanti: i dati statistici dimostrano infatti che il fenomeno è limitato a una media di 28 all’anno, «un fenomeno statisticamente quasi insignificante». La separazione, ha aggiunto Fontana, è opposta alle più recenti disposizioni legislative che rafforzano il ruolo del pubblico ministero nella tutela dei diritti dell’imputato. Altre criticità, ha sottolineato il laico del Pd Roberto Romboli, stanno nella scelta del sorteggio dei componenti togati, incompatibile a suo dire, al modello costituzionale del Csm. «Il sorteggio rompe il nesso con il linguaggio della democrazia - ha sottolineato -: il sorteggiato rappresenta solo se stesso, non la pluralità delle sensibilità culturali e professionali della magistratura». A ciò si aggiunge il rischio di inidoneità dei membri sorteggiati. «La pari dignità di ogni magistrato non significa che tutti siano ugualmente idonei a svolgere il ruolo di consigliere del Csm, come la Costituzione richiede - ha aggiunto Romboli -. Un Csm composto da sorteggiati dovrebbe coerentemente sorteggiare anche il vicepresidente, rendendo l’elezione una pura formalità». A ciò si aggiunge l’Alta Corte disciplinare che, secondo il togato di Area Antonello Cosentino, sottrae al Csm una funzione essenziale. «Amputare la giurisdizione disciplinare dal sistema dell’autogoverno significa indebolire la capacità del Csm di esprimere un modello di magistrato». La creazione di un’Alta Corte è invece per Giuffrè coerente con la scelta di un sistema più imparziale e meno condizionato dalle dinamiche interne del Csm. «Il potere di revisione costituzionale rappresenta l’espressione massima della discrezionalità parlamentare - ha concluso il laico -. La proposta non solo rispetta i principi fondamentali dell’ordinamento, ma li rafforza, adeguandoli alle sfide di un sistema giudiziario moderno».

Un’idea non condivisa dalla togata di Mi Bernadette Nicotra: «L’effettiva imparzialità del giudice dipende da dinamiche interne al procedimento, dalle discipline della competenza e delle incompatibilità, dalla effettività del contraddittorio, dalla qualità della motivazione, dai controlli in sede di impugnazione - ha sottolineato -. Solo rafforzando la comune cultura delle garanzie e della legalità si avrà un giudice che è ed appare libero nell’agire». Per l’indipendente Andrea Mirenda, però, il sorteggio non è un male: «Qui dentro, 18 su 20 appartengono alle correnti. Il sorteggio è una conseguenza della nostra incapacità di essere autoriformisti. E stronca parrocchie, conventicole e camarille. Ce lo chiede l’Europa con il codice etico dei Consigli di giustizia, approvato da tutti noi, ma spesso ignorato». E stroncare le correnti in seno al Consiglio è conforme a Costituzione: «Non può parlarsi di rappresentanza politica del Consiglio superiore, né rappresentiamo il corpo giudiziario. I padri costituenti hanno chiaramente scartato un modello corporativo, optando per una composizione mista, laica e togata. Guai se fossimo un organo politico: conformeremmo i magistrati a orientamenti consiliari, violando il principio che ogni magistrato è soggetto soltanto alla legge»