PHOTO
L'imprenditore Pietro Cavallotti
Riportiamo di seguito l’intervento con cui Pietro Cavallotti ha commentato sui social la sentenza della Cassazione che annulla definitivamente tutti i provvedimenti di sequestro adottati nei confronti delle aziende sue e dei suoi familiari. Cavallotti è il rappresentante di una dinastia di imprenditori palermitani attivi nel settore della distribuzione del gas fin dagli anni Novanta e travolta da un’incredibile sequenza di misure di prevenzione antimafia, inflitte dalla sezione del Tribunale di Palermo presieduta, all’epoca, da Silvana Saguto. Nel 2019 il Tribunale siciliano aveva accolto il ricorso della famiglia Cavallotti: dissequestro confermato in appello, fino alla sentenza emessa lo scorso 17 gennaio dalla Cassazione, che dà definitivamente ragione agli imprenditori.
Non c’era bisogno della sentenza della Cassazione per certificare ciò che era evidente fin dal principio. Non c’erano prove, non c’era niente. C’era solo la volontà di fare male e di distruggere. Non ci credo più nella giustizia italiana e da molti anni vedo nelle sentenze dei giudici solo il frutto del loro arbitrio e non un mezzo per fare giustizia. Dopo tutti questi anni, dovrei esultare perché almeno è stata detta l’ultima parola. Ultima parola su cosa? Il lavoro di una vita è andato in fumo, sono stati fatti debiti su debiti, ci sono stati pubblici ministeri e persino un Procuratore Generale che senza vergogna ci hanno perseguitato fino al terzo grado di giudizio. Queste cose non si possono dimenticare. Nessuno pagherà, nessuno ci potrà restituire il tempo perso.
Ora che è tutto finito, si dovrebbe dire qualcosa. Ci si dovrebbe interrogare su chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato. Ma sono domande inutili perché sappiamo bene che gli unici che ci hanno guadagnato sono gli amministratori giudiziari, le persone da loro nominate, i periti e i pubblici ministeri, che grazie ai loro errori, faranno carriera. Ci hanno perso tutti gli altri: i lavoratori, i creditori, noi. Si dovrebbe fare un appello alla politica affinché intervenga presto, affinché le persone rovinate dallo Stato vengano aiutate. Ma mi rifiuto di farlo perché, nonostante ci siano tanti politici che si sono interessati concretamente al problema, in politica ci sono sempre altri interessi da salvaguardare, altre priorità.
Mi dovrei rivolgere al mondo dell’informazione ma so che ci sono altre notizie che è più comodo fare passare. I crimini dell’antimafia devono essere sepolti insieme alle persone che li hanno subiti. Nessuno deve sapere, sentire o vedere niente. Mi dovrei rivolgere all’amministrazione comunale perché faccia un’analisi seria per comprendere come la nostra vicenda abbia influito sulla qualità della vita di molte famiglie di lavoratori e in generale sulla fragile economia del nostro paese. Ma mi rifiuto di farlo perché non c’è un serio interesse. Dovrei raccontare le umiliazioni e le sofferenze che abbiamo subito. Ma mi rifiuto di farlo perché non ci sono parole per far capire e neppure un reale interesse ad ascoltare.
L’unica cosa che vale la pena di dire, alla fine di questa triste vicenda, è un grazie ai nostri avvocati e al nostro consulente, amici sinceri, che ci hanno difeso pur sapendo fin dall’inizio che da questo processo non ci sarebbe stata alcuna soddisfazione economica. Ci hanno difeso solo per senso di giustizia, nella ferma convinzione che i deboli e le persone giuste vanno difese contro gli abusi dei forti, contro quello che è un vero e proprio regime. Allora, non chiedo proprio niente a nessuno. Mi basta sapere che, nonostante tutto, siamo ancora in piedi e che, soprattutto, siamo ancora vivi. Il mio pensiero va ai miei parenti che hanno dato esempio di come si reagisce quando tutto il mondo che hai costruito ti viene fatto crollare addosso.
Si dice che la mafia è una montagna di merda. Vero ma è un’affermazione incompleta. Anche l’antimafia, quando si comporta come la mafia, è un’altra grande montagna di merda! E chi lavora bene non ha motivo di offendersi per questa grande verità.