Ucpi e Anm compatte nel criticare metodo e merito del dl sicurezza. La sede sono state le commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera che ieri hanno iniziato il giro di audizioni. Il primo a prendere la parola è stato proprio Cesare Parodi, presidente del “sindacato” delle toghe: «Seguivamo con interesse da più di diciotto mesi i lavori parlamentari, abbiamo poi appreso della scelta di optare per la decretazione di urgenza. Non voglio fare valutazioni di costituzionalità - ha spiegato Parodi - Evidentemente il governo ha ritenuto, così, all’improvviso, la sussistenza di un’urgenza che per l’anno precedente non era stata riscontrata». Quindi ha aggiunto: «A molti di noi non era parsa così grave la situazione, così esasperata da giustificare un intervento di questo genere. Ci potranno essere colleghi, avvocati, che presenteranno domande di costituzionalità e valuteremo le risposte della Corte costituzionale se ci saranno domande di questa natura».

Sul merito ha proseguito: «Un aspetto che ci ha colpiti riguarda il contenuto numerico del provvedimento: sono previsti quattordici nuovi fattispecie di reati, nove nuove aggravanti che hanno provocato un oggettivo inasprimento del sistema sanzionatorio. Dobbiamo tenere presente il sovraffollamento carcerario: abbiamo 62mila detenuti per 50mila posti. Tale situazione si riverbera in fatti drammatici come i suicidi. Allora mi chiedo: considerato che un aumento delle fattispecie non è in sintonia con la situazione carceraria, perché farlo? E se invece il provvedimento non è destinato ad aumentare la popolazione carceraria, allora perché farlo? Nella mia personale esperienza - la realtà piemontese conosce forme di antagonismo - ho appurato che i cittadini difficilmente vengono dissuasi dalle sanzioni, ho quindi dubbi sulla efficacia preventiva della norma. Anzi forme di contrasto che vengono penalizzate potrebbero portare a risposte più forti, non dico sfidare il sistema ma assumere uno spirito ancora più combattivo».

«Le scelte che sono state fatte sono scelte politiche - ha detto ancora Parodi -. Ciò mi porta a pensare che ci viene chiesto un giudizio politico, che in molti altri casi non è gradito quando l’Anm manifesta la sua opinione su questi temi. Di tecnico c’è poco, c’è molto di natura politica». Allora cosa fare?, gli hanno chiesto alcuni commissari: «Riportare le pene ad un maggiore criterio di ragionevolezza e proporzionalità per far vedere ai cittadini che non c’è una volontà di totale oppressione». Dopo di lui, è intervenuto il presidente dell’Ucpi Francesco Petrelli che ha ricordato innanzitutto l’astensione del 5, 6 e 7 maggio contro il dl sicurezza. Poi ha spiegato: «Si tratta di un articolato normativo che rivela una matrice securitaria sostanzialmente

populista, profondamente illiberale e autoritaria, caratterizzata da uno sproporzionato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi ed ai danni dei soggetti più deboli. Tale approccio autoritario appare ora aggravato dalla scelta dello strumento del decreto legge in palese assenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza che ha interrotto l’iter» del ddl omonimo, «incidendo così sulle prerogative del Parlamento, in una materia, qual è quella penale, che richiederebbe, al contrario, la massima espansione del dibattito parlamentare». L’Ucpi, dunque, «auspica che il Parlamento voglia riappropriarsi a pieno della propria centrale funzione democratica, intervenendo sul testo del decreto legge e recependo così le forti critiche che allo stesso sono state da più parti mosse con forza».

Infine per l’avvocato Michele Passione «con l’articolo 15 la modifica proposta prevede che anche le donne incinte, o madri di infante inferiore ad un anno, possano essere oggetto di incarcerazione, sebbene presso un istituto a custodia attenuata. Si tratta, all’evidenza, di una norma manifesto, dimentica del superiore interesse del bambino, di cui alle regole di Bangkok, che tra l’altro non si misura con il dato obiettivo della scarsissima presenza degli Icam (che restano comunque strutture inadeguate al sostegno di madri e bambini) sul nostro territorio, e provocherebbe una ulteriore lesione del principio di territorialità della pena».

Infine tra le disposizioni maggiormente censurabili per l’esperto c’è «la criminalizzazione del dissenso all’interno delle carceri anche a fronte di condotte criticabili (e persino illecite) tenute intra moenia dal personale di polizia o da altri operatori penitenziari. Negato l’ascolto, punito il dissenso si propone il ritorno ad un modello detentivo fondato sull’obbedienza acritica». Audito anche l’Ocf con Mario Scialla e Carlo Morace.