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Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali in occasione della Relazione sull’attività 2023 dall'Autorità garante dei dati personali, Camera dei Deputati a Roma, Mercoledì 03 Luglio 2024 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Pasquale Stanzione, President of the Guarantor for the protection of personal data on the occasion of the Report on the 2023 activity of the Personal Data Guarantor Authority, Chamber of Deputies in Rome, Wednesday July 03, 2024. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
«La pubblicazione di conversazioni private, intercorse in un contesto di particolare delicatezza, quali i colloqui in carcere tra detenuti e parenti, vìola la normativa privacy e le regole deontologiche dei giornalisti». A dirlo, con una nota, è il Garante per la protezione dei dati personali in merito alla diffusione di stralci di intercettazioni effettuate durante il colloquio tra Filippo Turetta e i propri genitori, nel carcere di Verona il 3 dicembre 2023. L’Autorità guidata da Pasquale Stanzione ha avviato alcune istruttorie nei confronti delle testate che hanno pubblicato stralci di quelle conversazioni, richiamando gli organi di stampa e i social media «al rigoroso rispetto del principio di essenzialità dell’informazione e della dignità delle persone coinvolte in fatti di cronaca». Le conversazioni tra Filippo Turetta e i genitori erano state ritenute rilevanti dalla procura per via di alcune frasi: Turetta, infatti, reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Giualia, aveva ammesso di non aver detto tutto sull’efferato delitto. Proprio per tale motivo gli inquirenti hanno ritenuto di mettere agli atti le conversazioni. Qualcuno, però, le ha poi passate alla stampa. Che anziché concentrarsi sulla frase ritenuta importante per le indagini ha virato sulle parole del padre di Filippo. «Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza… – ha detto Nicola Turetta –. Ci sono altri 200 femminicidi! Poi avrai i permessi per uscire per andare al lavoro, la libertà condizionale». Parole non condivisibili, ma frutto della paura, ha spiegato Turetta, che ha chiesto scusa in un’intervista al Corriere: «Chiedo scusa, erano solo tante fesserie – ha spiegato –. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale». E ancora: «Ho fatto quelle affermazioni solo perché temevo che Filippo si suicidasse. Sto malissimo e non mi do pace, era un momento di disperazione». Per la stampa, però, tutto ciò non ha importanza: le parole di Nicola Turetta giustificherebbero i femminicidi e andavano diffuse in nome della funzione pedagogica della stampa, una forma di “educazione morale” che può anche bypassare le regole deontologiche fissate nelle carte dei giornalisti. Così dall’informazione si passa all’analisi sociologica. Una funzione non richiesta, che ignora, soprattutto, i sentimenti di un padre che si ritrova un figlio assassino e milioni di diti puntati contro. Paradossalmente a comprendere quel sentimento è stato Gino Cecchettin, padre di Giulia, l’unico, assieme ai fratelli della vittima, la cui rabbia e la cui voglia di non comprendere sarebbero giustificati e comprensibili. Di più, naturali. «Inutile e di nessun valore pubblicare la conversazione dei genitori di Turetta con il figlio», ha affermato il padre di Giulia, a “La Terrazza della Dolce Vita”, il programma condotto da Simona Ventura e Giovanni Terzi. Il padre di Turetta, ha spiegato Gino Cecchettin, «mi ha scritto durante le feste». In un’intervista al Corriere l’uomo è poi andato oltre: «Quello che come società tutti noi, nessuno escluso, dovremmo fare è aiutare la famiglia Turetta - ha dichiarato -. Questo dovrebbe essere il nostro dovere: aiutare un uomo che sta vivendo un momento di grande difficoltà, non accanirci contro di lui. Accanirsi contro un papà che sta vivendo un momento di grande difficoltà è sbagliato - ha aggiunto -. Noi tutti dovremmo pensare a questa famiglia, a come aiutarla. Noi come singoli e come società dovremmo porci questo tema. Hanno un altro figlio questi genitori e devono poter andare avanti al meglio. Il nostro compito è costruire valore».
Certo, la stampa ha celebrato Cecchettin padre, approfittandone, però, per lanciare nuove bordate contro Elena Cecchettin, diventata, dopo la morte della sorella, spauracchio delle destre più becere: «Bisogna smettere di tacere davanti alla normalizzazione del femminicidio, continuiamo a fare rumore, a rompere questo silenzio omertoso», ha scritto la giovane sui suoi profili social. Un concetto chiaro e che non le si può certo, nella sua banale verità, contestare. Ma eccola di nuovo nel mirino della stampa di destra, che mentre da un lato lodava il garante per la scelta di mettere nel mirino la stampa “nemica”, dall’altro definiva le parole della sorella della vittima «uscite infarcite di ideologia», come scritto ieri da La Verità. Insomma, un passo avanti e dieci indietro, almeno per la stampa, che, anche quando viene “bacchettata” ne approfitta per sbagliare e infilare ovunque la propria di ideologia.
Ad intervenire, nei giorni scorsi, è stato anche l’Ordine nazionale dei giornalisti, che in una nota ha ricordato il dovere del giornalista di «distinguere cosa è essenziale per la comprensione dei fatti da ciò che è pura e semplice incursione nel dramma di genitori di fronte a un figlio che ha commesso un crimine terribile. Un dramma umano, quello del padre e della madre, che va rispettato - ha sottolineato Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine -. Non è in gioco la terzietà del giudice, così come da quel colloquio non emerge alcun elemento rilevante per le indagini e, quindi, di interesse pubblico. Serve rispetto per il dolore dei genitori di Turetta e rispetto per il rinnovato e atroce dolore dei familiari della vittima». A commentare la vicenda anche il deputato di Azione Enrico Costa: «Le regole deontologiche per i giornalisti servono a poco, se chi deve farle rispettare considera il diritto di cronaca come una patente di immunità».