È nulla la nomina di Marina Finiti quale presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma. Il Csm ora dovrà riformulare il giudizio comparativo tra la stessa Finiti e la giudice Vittoria Stefanelli. A deciderlo il Tar del Lazio, con una sentenza con la quale ha accolto un ricorso della stessa Stefanelli che ha censurato il giudizio comparativo svolto dal Csm, ritenendo che le motivazioni addotte a sostegno della prevalenza della dottoressa Finiti fossero illegittime, illogiche ed errate.

Finiti il 7 febbraio 2024 aveva raccolto 19 voti (i sette consiglieri togati di Mi, i quattro “moderati” di Unicost, i sei laici in quota Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, Ernesto Carbone di Italia viva e la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano, anche lei di Mi); Stefanelli 11 voti (sei di AreaDg, Mimma Miele di Md, i laici Roberto Romboli del Pd e Michele Papa del M5S, insieme agli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda); era assente il procuratore generale.

«Era prevedibile questa decisione, la nomina di Finiti è stata una evidente forzatura», si dice nelle diverse chat delle toghe. Ma vediamo nel dettaglio cosa dice il Tar. «Nel peculiare caso di specie - si legge nella sentenza - appare viziata l’analisi svolta dal Csm con riguardo agli indicatori generali della ricorrente. Ciò ha, conseguentemente, inficiato anche il giudizio di comparazione delle due concorrenti con riferimento a tale parametro. In primo luogo, la delibera impugnata ha ricostruito in modo errato la complessiva esperienza professionale della ricorrente con riguardo al parametro generale di cui all’art. 8 del Testo Unico (Esperienze maturate nel lavoro giudiziario)».

La delibera, infatti, sarebbe «viziata dalla mancata considerazione di una parte essenziale della sua complessiva esperienza professionale (di Stefanelli, ndr), ossia i 10 anni e 6 mesi durante i quali essa ha svolto funzioni di sorveglianza presso il Tribunale di Roma dal 2012 al 2022». Sotto un ulteriore profilo, «appare viziata da carenza istruttoria la valutazione espressa in merito all’esperienza maturata dalla ricorrente in fuori ruolo presso l’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia per 7 anni e 8 mesi (da marzo 1994 a novembre 2001)»; nella delibera contestata, infatti, «è stato omesso l’esame di una serie rilevante di adempimenti di cui si è occupata la ricorrente».

E risulta infine anche fondato «l’ulteriore profilo di censura inerente alla valutazione espressa dal Csm con riferimento alle esperienze di collaborazione della gestione degli uffici da parte della ricorrente», essendoci stata una «irragionevole e contraddittoria svalutazione della rilevanza dell’esperienza vicariale della ricorrente». Alla fine per il Tar «va annullato il conferimento dell’incarico direttivo in contestazione nel presente giudizio»; e «in esecuzione della presente sentenza, il Csm dovrà riformulare il giudizio comparativo in conformità a quanto accertato nel presente giudizio».

Dunque non c’è pace per il Tribunale di Sorveglianza di Roma, il più grande di Italia che decide, tra l’altro, tutti i ricorsi dei reclusi al regime speciale del 41 bis. Un Tribunale spesso finito nel mirino della Camera penale romana, che aveva deliberato anche diverse astensioni, per mancanza di risorse finanziarie e umane che hanno provocato numerose inefficienze, con ricadute anche per i diritti dei detenuti.

Intanto dal Csm arriva la dichiarazione del consigliere togato eletto tra gli indipendenti, Andrea Mirenda: «L’annullamento della delibera era nell’ordine inevitabile delle cose, tanto plateale risultava la violazione delle regole del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria. Ancora una volta, purtroppo, assistiamo a nomine piegate a schiette logiche di solidarietà, con esiti che non fanno bene al prestigio del Consiglio superiore della magistratura. Fortunatamente esiste ancora un giudice a Berlino a cui il mugnaio di Potsdam può rivolgersi. Solo se si avrà la forza di uscire dalla logica malata della ricerca del “migliore”, con tutti gli arbitri e le distorsioni ad essa collegate, il Csm recupererà credibilità e autorevolezza».

Linea simile quella del consigliere Marcello Basilico del gruppo di AreaDg: «Avevamo da subito evidenziato che la delibera del Csm non aveva fondamento giuridico. Si è trattato di uno degli esempi più evidenti di violazione delle norme di circolare. Non si capisce come si sia potuto rinunciare in un ufficio ad alta specializzazione alla professionalità più consolidata in un settore tanto delicato come quello della sorveglianza». Proprio Area, in merito alla nomina di Finiti, aveva intitolato il suo abituale Diario dal Consiglio: «Quando il superamento delle regole danneggia la credibilità del Csm».

Rossella Marro, presidente Unicost, preferisce non entrare nel merito della singola vicenda ma ci dice: «Questo annullamento conferma ancora una volta la necessità di introdurre dei criteri quanto più prevedibili possibili per le nomine a direttivi e semidirettivi. Si tratta di una materia su cui la V Commissione sta lavorando in questi giorni e da cui aspettiamo a breve di ricevere le proposte». Nessun commento da Mi.